4.12.17

Torino Film Festival - I Film visti da Riccardo: Tesnota - A Fabrica de Nada - Blue Kids - Favola

A Torino si era in tanti.
Tra questi il più giovane, 19 anni, era Riccardo.
Che già l'anno scorso fece per questo blog un bel resoconto da Venezia.
Ecco i suoi pensieri sui film che ha visto a Torino (quelli che non erano in comune con me)

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TESNOTA/CLOSENESS di Kantemir Balagov 

 L’opera prima di un regista ventiseienne allievo di Sokurov, che racconta con uno stile personale e a tratti claustrofobico cosa voglia dire essere parte di una comunità, intesa come luogo di appartenenza e di condivisione di lingua, religione e tradizioni. Siamo in Caucaso, nel periodo tra la prima e la seconda guerra cecena. Una famiglia ebrea viene sconvolta dal rapimento del secondogenito David. Non c’è altra soluzione se non quella di pagare il riscatto. Ma quello che potrebbe trasformarsi nel classico thriller si rivela in realtà un potentissimo film drammatico. Perché da quel rapimento, che in realtà è solo l’ultima delle tante cause, lentamente si sgretoleranno quei diversi ordini di comunità a cui si accennava all’inizio. La vera protagonista della vicenda è, infatti, Ilana, la sorella del ragazzo rapito, che dovrà scontrarsi con la “tribù”. La tribù intesa come famiglia, come comunità ebraica e nel significato più ampio come Russia. Sì perché Ilana vuole essere autonoma, indipendente, vuole sottrarsi a quelle regole che la costringono ad essere ciò che le viene imposto. E forse anche quella guerra cecena che rimane sullo sfondo non è che una conseguenza del sentirsi troppo parte di qualcosa di più grande.   

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Á FABRICA DE NADA di Pedro Pinho 

L’esordio di Pedro Pinho è un film complesso e multiforme, difficile da ricondurre ad un unico genere ma che è allo stesso tempo attuale e necessario, perché capace di fornire uno sguardo nuovo e attento su un problema ormai all’ordine del giorno: la crisi economica. Tutto parte dalla decisione di chiudere la sede in Portogallo di una fabbrica di ascensori, senza alcun preavviso per i lavoratori. Molto meglio delocalizzarla. In silenzio. Senza troppe spiegazioni. Ma quegli operai non ci stanno e decidono così di occupare le loro postazioni. Ecco dunque la “fabbrica del niente”. Una fabbrica autogestita dove non si produce più nulla, ma dove il posto di lavoro diventa fondamentale e centrale per tutti. La sfera privata e personale dei lavoratori si interseca con quella collettiva della fabbrica. Ma questa stessa sfera si deve invece scontrare con il mondo degli intellettuali, degli artisti, di coloro che teorizzano il capitalismo e la rivoluzione citando Marx ad una cena dai piatti prelibati. Quegli operai invece hanno semplicemente bisogno di sopravvivere. Sopravvivere in un mondo dove vige la legge del più forte. Dove spesso la priorità è il proprio guadagno. Dove la vera opposizione non è politicamente tra Destra e Sinistra, ma tra chi si adatta a questo mondo così difficile e chi invece decide di rinunciare a tutto. 
  
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BLUE KIDS di Andrea Tagliaferri  

Prodotto da Matteo Garrone, Tagliaferri esordisce con la storia di due giovani fratelli, uniti per parentela e per solitudine, per immoralità ed incoscienza. Eccoli i “blue kids”, due ragazzi cresciuti solo fisicamente, con ancora la voglia di buttarsi, di sbagliare, di portare a termine ciò che vogliono, facendo qualsiasi cosa pur di ottenerlo, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze. Sempre spensierati, liberi, autonomi da una famiglia di cui non si sentono realmente parte. Esemplare per questo motivo è la scena in cui al funerale della madre i due ragazzi si provocano di nascosto le lacrime, perché non si sentono minimamente toccati dall’accaduto. Il loro sentirsi insieme così forti ed invincibili li condurrà a gesti folli e spietati, l’unica via per conquistarsi un posto in un mondo che sembra non capirli affatto. 

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FAVOLA di Sebastiano Mauri

La favola è da sempre stata associata ad una narrazione fantastica, di fatti inventati. Il contesto del film di Mauri richiama proprio la “favola americana” hollywoodiana da sogno: una casa modello dai colori sgargianti, abiti sfarzosi, due amiche e la loro relazione. Il nome stesso della protagonista, Mrs Fairytale (un Filippo Timi davvero sopra le righe), richiama proprio questo concetto. Lo sfondo così tanto artificiale, surreale e apparentemente melodrammatico però si trasforma ben presto in una black comedy, che come tutte le favole usa la semplicità per spiegare principi morali dalla grande complessità. In questo caso si parla di identità sessuale. La psicologia di una donna e il corpo di un uomo si scontrano. Così come la scenografia e i costumi così perfetti e pudici sembrano scontrarsi con tematiche di cui è meglio non parlare e con parole che è meglio non pronunciare. In questo mondo surreale l’unico in grado di agire con decisione sembra essere paradossalmente un barboncino bianco impagliato, ma che essendo inanimato alla fine non potrà nulla rispetto a quel sentirsi donna in maniera così tanto viva e reale.    

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