23.4.17

Recensione: "World War Z"




Per una volta mi butto su un blockbusterone.
E niente, mi poteva pure piacere se fosse stato SOLO un film fracassone con gli zombie.
Ma WWZ è principalmente un action e un disaster movie.
Avello saputo prima, tacci mia.

E niente, c'ho provato.
Era veramente da tanto tempo che non provavo a vedermi un "blockbuster" vero e proprio.
Nel senso che di film milionari ne vedo, anche con una certa frequenza, ma di solito sono comunque pellicole di grandi autori o, per me, di alto spessore.
Stavolta volevo solo vedermi uno spettacolone zombie.
E se è vero che da un certo punto di vista sono stato pienamente accontentato perchè WWZ di spettacolo ne offre, e pure tanto- dall'altro invece ho preso proprio, come se direbbe a Roma, una bella sola.

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Perchè non sapevo assolutamente che questo film fosse un mezzo action e un mezzo disaster movie, due mondi con cui ho un rapporto veramente terribile...
Mi sono così ritrovato un survival a mille all'ora, pieno di adrenalina, corse, fughe, battaglie mille contro uno, bombe, città in fiamme, tutti elementi che purtroppo mal digerisco e che molto spesso mi portano addirittura ad annoiarmi e distrarmi (io quando vedo una fuga a volte aspetto solo che finisca, magari intanto mi faccio un thè).
Diciamoci la verità, WWZ è un videogame.
Ne ha tutte le caratteristiche, dal ritmo, all'adrenalina, alla trama confusa e appena abbozzata, agli scontri con gli zombie, al tipo di personaggi, all'usare sempre nuove location in giro per il mondo.

21.4.17

I Peri-Patetici, passeggiate con mio fratello parlando dei Massimi Sistemi ai Minimi Sindacali (6) - Puntata Storica per molti versi. 1 non si parla più di Leopardi ma di Schopenhauer 2 Il nostro cane ha provato a suicidarsi nel lago 3 Finalmente vediamo il Lago Trasimeno 4 Mi mostro al mondo!!!!!!!!

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Pasqua
Natale
Pasqua

Queste sono le uniche 3 date nell'ultimo anno in cui siamo riusciti a metter su una puntata dei Peri-Patetici (la sesta, le altre le trovate nell'etichetta a destra).

E siccome volevamo fare qualcosa di speciale abbiamo deciso finalmente di non parlare più di Leopardi ma di un altro grande, Schopenhauer.
Quindi Ieio inizierà a parlarci del celeberrimo filosofo tedesco mentre camminiamo intorno al Lago Trasimeno
Lago Trasimeno dove si getterà in un tentativo suicida il nostro cane.

Ma la cosa più importante è che io finalmente mi mostro


18.4.17

Recensione: "Virgin Mountain"

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Un bellissimo film islandese che racconta di un uomo con un corpo grande come il proprio cuore.
Che racconta di come anche la bontà possa essere a volte una condizione d'animo irrimediabile.
Tenero, delicato ma anche tosto, importante, profondo.
In un luogo stupendo, l'Islanda, un luogo così desolato da correre il rischio di diventare desolante

presenti piccoli spoiler, più grandi solo dopo ultima immagine

Prima di tutto viene il luogo.
E il luogo è la straordinaria Islanda, uno dei più belli del mondo, uno dei più vergini, immensi e sbalorditivi pezzi di terra emersa che esistano.
L'Islanda pressochè desolata, con una densità di abitanti talmente bassa che se non fosse così freddo la paragoneremmo ad un deserto.
Ed è forse questo suo esser desolata a renderla tanto meravigliosa.
Sì, ma a prendere lo Zanichelli "desolata" mica è una cosa tanto bella eh.
Che al suo sinonimo di disabitata poi si affiancano tanti altri significati brutti brutti.
Ed è un attimo a cambiare un paio di lettere e trasformare quel desolata in un'altra parola che invece non ammette alcuna incomprensione, desolante.
E spesso, desolante, è la vita di chi sta lassù, troppo freddo, troppo spazio, troppo soli.
Se poi sei come Fusi non ne parliamo. Se oltre a vivere in un luogo che se lo prendi dalla parte sbagliata è così desolante in più sei come lui è la fine.
Fusi ha 40 anni, non è grasso, ma è grasso grasso grasso, uno di quelli che nessuno potrebbe abbracciare toccandosi le mani là dietro, alla fine dell'abbraccio.
E facciamo finta che sia questo il motivo, facciamo finta che sia per quanto è grasso che Fusi di affetto non ne abbia mai avuto, che quell'abbraccio nessuno gliel'abbia mai dato.
Ma a Fusi questo forse non interessa perchè lui tanto ha un grosso problema, è irrimediabilmente buono, è patologicamente buono, è uno che della bontà ne ha fatto qualcosa di incrollabile, come la Fede, anzi, a ben pensarci, più della Fede.
Un bambino di 10 anni nascosto in un corpo che potrebbe contenerne 8 di quei bambini là dentro.

15.4.17

Quindici cartoni recenti (non conosciutissimi) che probabilmente dovreste vedere




E' un pò che non faccio una lista...
In realtà gli argomenti alla fine sono sempre di meno, i film visti sempre di più e diventa così quasi impossibile sia trovare qualcosa di nuovo sia ravanare nella memoria per trovare i titoli giusti.
Però, ecco, mi sono accorto che sui cartoni animati non avevo mai fatto nulla.
Credo sia il momento di rimediare.
Questi che leggerete sono per me 15 cartoni recenti (ultimi 10 anni) che secondo me meritano di esser visti.
Ovviamente, come sempre, ho cercato di non inserire roba famosa, opere delle major e così via.
Certo, non sto dicendo che dentro non ci siano titoli banali per un appassionato ma, ecco, credo che per la "massa" alcuni non siano così famosi.
Cominciamo

I TITOLI MANDANO ALLA RECENSIONE COMPLETA


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Quello più "serio" del gruppo.
L'opera seconda in regia di Kaufman è un'angosciante, densissima e tremendamente verosimile riflessione su...già, su cosa?
Ognuno dia la sua risposta



Una meraviglia.
Un bambino e il suo mondo di mostri, un bambino e la sua passione per l'horror.
E quel'umanità da ritrovare più nei morti che nei vivi


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L'opera capolavoro di quel grande uomo e animatore che è Satoshi Kon.
Un viaggio dentro i sogni, un cartone complesso, affascinante, geniale.
Imperdibile

14.4.17

Recensione "La Notte dei Diavoli" (1972 - Ferroni) - Cinema e Musica - 2 - di Alex Cavani



Torna il nostro giovane musicista Alex Cavani per analizzare un altro film da un versante atipico per questo blog, la colonna sonora.
Stavolta invece di tre piccole recensioni Alex ne scrive una lunga e "completa" su un misconosciuto film gotico italiano degli anni 70, La Notte dei Diavoli di Giorgio Ferroni.
Per gli appassionati di colonne sonore un pezzo da non perdere.
Ma anche per chi ama questo genere di pellicole.

Anni '70. Italia. In questo periodo il nostro paese sforna valanghe di film di genere: horror, peplum, giallo, western, fantascienza... Alcuni destinati a lasciare il segno in modo indelebile, altri meno; altri ancora invece purtroppo destinati a rimanere dimenticati, persi nel marasma di pellicole che guadagnavano la celebrità quasi subito e nell'indifferenza di un pubblico interessato ad un altro tipo di intrattenimento cinematografico e non.
Perchè allora concedere una visione a questo "La Notte dei Diavoli"? Un classico gotico all'italiana, genere reso celebre da registi ben più noti e da film ben più autorevoli?
Iniziamo col dire che Giorgio Ferroni non è proprio l'ultimo arrivato dei registi, in una carriera quarantennale ha spaziato tra film di ogni genere (ma davvero qualsiasi! Tra cui il weird, la parodia western e anche il documentario) e ci ha regalato almeno una pellicola degna di nota: "Il mulino delle donne di pietra", del 1960. Riscoprire la sua filmografia può essere davvero interessante.

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Questo film poi si fa notare per la produzione italo-spagnola e gli effetti speciali del mitico Carlo Rambaldi, l'ambientazione – siamo nella Yugoslavia ancora unita – e la storia vera e propria, che trae ispirazione abbastanza fedelmente dalla novella del 1839 "Sem'ja vurdalaka" di Aleksej Konstantinovič Tolstoj.
Su questo racconto già Mario Bava, nel 1963, si era basato per scrivere l'episodio “I Wurdalak” per il suo film “I tre volti della paura” e il film di Ferroni si pone quasi come una sorta di “sequel” proprio di questa pellicola baviana.

13.4.17

Recensione: "La Storia della Principessa Splendente"




Mica tutte le lacrime devono per forza essere tradotte a parole.
Mica tutte le poesie devono per forza essere spiegate.
Mica tutte le magie e i dolori possono essere raccontati.

Principessa vieni qua

Principessa torna qua

a farci capire la straordinarietà di questa nostra imperfetta, difficile, eppure così meravigliosa e unica vita terrena

12.4.17

Recensione: "La vendetta di un uomo tranquillo"

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L'opera prima di uno dei due attori protagonisti de La Isla minima è un bel drammatico, un revenge movie atipico, come del resto il titolo apertamente preannuncia. E se è vero che non c'è niente che non vada è anche vero che il film non ripaga del tutto le aspettative (almeno le mie), somigliando a qualcosa di già visto prima per tutta la sua durata.
In ogni caso una visione che merita.

spoiler più grandi dopo ultima immagine

Opera prima di Raul Arevalo - il poliziotto giovane simile a Sean Penn dello splendido La Isla Minima- La Vendetta di un uomo tranquillo è uno di quei film dai contenuti quasi da thriller puro ma con ritmo, personaggi e dinamiche "soltanto" drammatici.
Un revenge movie in tutto e per tutto ma uno di quelli atipici, uno di quelli senza phisique du role, sia del protagonista che del film stesso.
Insomma, c'è poco da girarci intorno, il didascalico e al solito insopportabile titolo italiano lo dice da solo, siamo davanti a una di quelle storie di persone perbene che, ad un certo punto, vistesi private degli affetti più cari, decidono di farsi giustizia privata da sole.
Senza scomodare i grandi film sull'argomento ne cito di recenti due per tutti, ovvero il bel Death Sentence (che per certi versi è quasi identico a sto film spagnolo qua, solo in una versione più violenta e tamarra) e il particolarissimo Blue Ruin, film molto amato qua, anche dai lettori.
Cominciamo con un bel piano sequenza su macchina dopo una rapina, buffo vederne uno dopo Victoria.
C'è qualcuno che fugge e qualcun altro che viene preso.


La vicenda poi si sposta 8 anni dopo e da qui mai più si muoverà.
Vediamo un uomo dalla sguardo spento ma al tempo stesso molto vigile e teso, Josè.
Calmo, posato, tranquillo, molto educato.
Segue ossessivamente la bella Ana, la sorella del titolare del bar che frequenta.
Josè ha un solo obiettivo, avvicinarsi a lei, conoscerla, magari conquistarla.
I motivi li vedremo poi anche se questo film non cerca mai il colpo di scena o di nascondere le cose (anche se poi, nel finale, un colpo di scena, veramente difficile da prevedere, ci sarà), è solo una storia che si prende i suoi tempi molto lentamente e ti fa capire le cose piano piano.

10.4.17

Recensione: "The Selfish Giant"

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Il solito cinema inglese crudo, vero, scarno, violento.
E bellissimo.
Un film di cavi e cavalli, dolcezza e violenza, odio e amicizia.
Con un quarto d'ora finale che non mi si stacca di dosso.

presenti spoiler grandissimi dopo ultima immagine

Eppure stavolta l'avevo intuito subito quanto quell'immagine iniziale fosse potente, quanto potesse essere importante.
Nello splendido prologo del film Arbor urla sotto il letto, in modo violentissimo.
Arriva Swifty.
E gli stringe la mano per trascinarlo fuori.
E io fermo l'immagine di quelle due mani strette per quanto è bella, me l'appunto sul blocchetto e credo fortemente che quella possa essere l'immagine simbolo del film.
E sì, quello che avevo intuito dopo nemmeno un minuto sarà poi.
The Selfish Giant è l'ennesimo solido, vero, crudo e scarno film di quella cinematografia in questo senso pazzesca che è quella inglese.
Se non mi piacessero così tanto i loro film tenderei a considerarlo quasi un difetto questo loro somigliarsi sempre in dinamiche, tematiche e ambientazioni.
Quasi sempre un ambiente industriale, freddo, grigio, degradato, dove crescono bambini col dna della violenza già dentro di sè, dove sembrano non esserci sogni nè speranze, dove i genitori maschi lavorano, bevono e urlano e dove le madri invecchiano ancora ragazze, bevono e urlano.

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Il solito cinema british di bimbi sporchi e cattivi, di gente che non arriva a fine mese, di loschi giri e modi di arrabattarsi.
E di degrado, tremendo degrado.
Il degrado della famiglia Fenton, quella di Arbor, una madre sola con due figli ai confini della malattia mentale, costretti già da giovanissimi a prendere pillole.
Arbor è iper attivo, violentissimo, ingestibile, insopportabile, cattivo.
Il suo migliore amico è Swifty.
E la sua di famiglia sta anche peggio, gli zingari li chiamano, puzzate gli dicono, vendereste anche i fratellini per andare avanti gli urlano e in parte è vero, vendono di tutto per riuscire a sopravvivere chè ormai non resta che mangiare un pò di carne di barattolo in terra.
Ma Swifty è un bambino dolce da far paura, buono, calmo, altruista.
E mica si capisce perchè Arbor e Swifty son così amici, due ragazzini così diversi, anche fisicamente, tanto piccolo, magro e nervoso l'uno quanto alto, grassottello e pacioso l'altro.
Però, ecco, son tutte e due dei reietti, son tutti e due da scansare, son tutti e due figli di famiglie da schifare.
E allora eccolo il motivo per cui quelle mani si stringono così forte, già.
Alla fine la vince la parte cattiva, quella di Arbor, è lui a trascinare Swifty in furtarelli e losche operazioni per tirar su qualcosa.
Rubano rame, cavi, rottami, lavatrici, di tutto.
E li portano alla discarica -che sembra quasi la discarica di Stand by me- di Kitten, un uomo grosso, rozzo e cattivo, che magari è lui il Gigante Egoista del titolo, quello di Wilde, quello che non amava i bambini.
Ma Kitten ha anche un cavallo con cui fa gare clandestine.
E Swifty parla la stessa lingua dei cavalli, quella dell'innocenza e della dolcezza. E li sa carezzare, li sa cavalcare, li sa guidare.
I due intanto vengono espulsi dalla scuola per una mutua e troppo violenta difesa a suon di pugni. 

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Non resta che tuffarvi anima e corpo in questa loro degradante, sporca e misera vita di ladruncoli di rottami.
Se devo esser sincero, e certo che lo sono, ad un certo punto The Selfish Giant mi è parso un film che girava un pò troppo su sè stesso.
Ottimo l'incipit, perfette le caratterizzazioni dei personaggi, interessante la storia ma poi, ad un certo punto, non si andava più avanti, era un continuo ripetersi di scene identiche girate in maniera diversa (loro che rubano rottami, loro che li portano alla discarica, Arbor che ruba anche lì).
Meno male che in mezzo c'era stata la stupenda e tesissima sequenza della corsa tra i due cavalli, veramente magistrale.
Intanto in ogni tempo morto, quasi come raccordo, vengono inquadrati i pali e i tralicci dell'alta tensione.
E uno pensa che siano le ennesime -bellissime- inquadrature per raccontare un luogo, la sua freddezza e la sua assenza di attrattive.
Solo campi incolti e cavi dell'alta tensione.
E invece quelle inquadrature, vedremo poi, erano a loro volta personaggi protagonisti.
Al solito niente da dire sulle splendide interpretazioni, ma tanto sto cinema, da Common a Fish Tank, da Tirannosauro a Shell, da Eden Lake a Boy A (ne ho sparati 6 a memoria immediata, ce ne sarebbero altri) hanno sempre offerto grandi prove degli attori e hanno raccontato una nazione quasi disperata, specie nella sua persa e violentissima gioventù.
The Selfish Giant va avanti rigoroso, per la sua strada.
E, come detto, ad un certo punto annaspa un pò.
Ma poi arrivano gli ultimi 15 minuti e niente, m'hanno distrutto.
Credo che rappresentino veramente la nudità assoluta della commozione, quella che non ha bisogno di alcuna parola, nessun gesto di troppo, nessuna musica ad accompagnarla. Una commozione che ti esplode dentro senza alcun trucco, essenziale, nuda e potentissima.

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Swifty è un personaggio che ti rimane nel cuore sin da subito.
E quello che gli accade ti uccide.
E le urla di disperazione di Arbor, e quel suo tentativo di uccidere Kitten, e quel suo starsene là davanti la casa dell'amico, in attesa solo di un abbraccio e di un perdono, e quel letto che ritorna, Arbor là sotto, il fratello che è finalmente un vero fratello e prova ad aiutarlo.
E poi torna Swifty e quell'immagine così potente dell'inizio.
Ma del resto quelle due mani si stringevano anche nella morte, le mani che condussero l'energia del volersi bene ora hanno condotto una scarica di morte.
E alla fine quella madre arriva, il perdono ci sarà, del resto erano le due persone al mondo che più l'amavano.
Arbor accarezza il cavallo come faceva lui.
E l'ultima inquadratura è un occhio innocente, puro e buono.
E come quel pony morto era una specie di terribile metafora sulle sorti del ragazzo quell'occhio è di un cavallo sì, ma è anche di Swifty.

9.4.17

Il Guardaroba del Buio in Sala per i non feisbucchiani. Primi 10 film messi

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E' passato un mese dalla creazione del Guardaroba su fb...
Per chi non lo conoscesse è un gruppo dove sto mettendo i link di tutti quei film difficilmente reperibili o non distribuiti.

BASTA CLICCARE QUA PER ENTRARVI

Il gruppo sta andando molto bene, oltre ogni aspettativa.
Tanti utenti, tante discussioni, molti gradimenti.
Ho messo per adesso 10 film.
Ma siete in tanti che non avete facebook ad avermeli chiesti.
E allora ho deciso che ogni 10 film metterò la lista qua, in modo che potrete richiedermeli anche voi che non siete in quel social.
Per farlo o mi scrivete in privato o commentate qui.
In ogni caso dovrò mandarveli per mail.
Ecco i 10 film messi.
Alcuni hanno il link già pronto (ovviamente sempre da mandarvi, non lo prendete da qua), altri devono essere ripristinati.
Ma potete chiederli senza problemi.

1 LAKE MUNGO 


2 MORGENRODE 


3 FUGA

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4 DEAR ZACHARY 


5 KILL ME PLEASE 


6 BEYOND THE BLACK RAINBOW 


7 NOCTURAMA 

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8 LA NOTTE ETERNA DEL CONIGLIO


9 BORGMAN 


10 STO LYKO 

7.4.17

Recensione: "Borgman"

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Un barbone arriva in una grande villa e chiede di poter fare un bagno.
Viene respinto e malmenato.
Ma la moglie del padrone ha pietà di lui e, di nascosto, lo fa lavare e gli dà da mangiare.
Niente sarà più come prima.
Film dalla grandissima sceneggiatura, aperto a mille possibili interpretazioni.
Il tema dell'ospite inatteso, di quel virus che ammala per sempre chi viene colpito.
Tra Forza Maggiore, un pizzico di Bunuel, una spruzzata di The Witch e tanto altro un grande film olandese che vi porterà a riflettere molto.

Leggere la recensione dopo la visione, è quasi solo interpretativa.

potete trovare il film nel Guardaroba

Un mesetto fa mi è tornato in mente lo splendido Cigarette Burns di Carpenter.
Nel film si racconta di un film maledetto visto soltanto una volta ad un festival.
E questo festival è quello di Sitges, in Spagna.
Ricordavo anche che lessi che quel festival esisteva davvero, non era un'invenzione di Carpenter.
Vado su wiki e lo trovo. E vedo un albo d'oro pazzesco, una comunione con i miei gusti impressionante.
Solo per citare gli ultimi due vincitori sono The Invitation e Swiss Army Man...
E niente, l'unico vincitore che non conosco è un certo Borgman nel 2013.
Devo vederlo mi dico.
Ed eccoci qua.
Borgman è uno di quei film che cerco sempre.
Io adoro le pellicole che ti instillano parecchie domande e ti danno poche risposte, che ti aprono uno spettro di interpretazioni diverse e, bene o male, tutte possibili.
Se poi questi film così polisemici, così "aperti", così bisognosi di un lavoro da parte dello spettatore, sono anche film che nel significante (la storia e le immagini) sono apparentemente "normali" allora per me è il massimo.

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Sì perchè questo tipo di opere -io cito sempre Magic Magic come vertice quasi assoluto- raccontano storie abbastanza normali, narrativamente semplici.
 Non ci troviamo quindi davanti a film antinarrativi, simbolici o concettuali.
Eppure le domande che vengon fuori sono proprie di quei film ermetici e difficili.
Borgman è una specie di barbone che vive sottoterra.
Una mattina lui e i suoi due amici devono scappare, qualcuno vuole ucciderli.
Borgman arriva in un quartiere di ricchi benestanti e chiede solo di poter fare un bagno caldo.
Uno di questi ricconi gli risponde in malomodo e quando Borgman insiste nelle sue richieste viene barbaramente picchiato.
La moglie dell'uomo si vergogna di quello che è appena successo e, di nascosto, fa entrare il barbone in casa, lo fa lavare, gli dà da mangiare.
Niente sarà più come prima.
Mentre guardavo il film mi venivano in mente tantissimi film su questo filone dell'intruso che entra in casa e sconvolge (nel bene o nel male) il microcosmo famigliare, lo status quo, l'equilibrio.
Roba come L'Ospite Inatteso (titolo che potremmo dare all'intero filone), Visitor Q di Miike, Hesher è stato qui, The Guest e, volendo, anche roba come The Wailing in cui "l'ospite", lo straniero, non arriva propriamente in casa ma nella comunità.
(Tra l'altro il richiamo a The Wailing non è casuale.)
E non sottovaluterei nemmeno Dogtooth che, se ci pensate, aveva il suo turning point e l'inizio della distruzione del tremendo status quo della famiglia grazie ad un intervento esterno.
Del resto l'ambientazione dei due film è identica. una ricca villetta con un giardino curatissimo. Talmente simile che ci sono un paio di scene quasi interscambiabili.
Probabilmente però, tra tutti i titoli citati (tutti veramente belli) Borgman è quello che ha più possibili letture dentro.
Che cosa rappresenta quell'uomo?
Che vuole fare?
Che significato ha?
C'è da sbizzarrirsi.


In realtà almeno fino a metà film ci pare di assistere ad un film quasi normale. Strambo sì, particolare (vedi l'incipit) ma non necessariamente troppo simbolico. Eppure iniziano ad accadere troppe cose oltre lo strano, eppure i personaggi iniziano a cambiare, c'è qualcosa che va al di là delle immagini, lo si sente, probabilmente qualcosa di trascendentale.
Perchè lei inizia a non potersi staccare da Borgman?
E perchè le sue figlie diventano abuliche?
Iniziamo a formulare qualche ipotesi.
Innanzitutto ce n'è una "sociale" molto potente. 
Borgman sembra raccontare di un attacco diretto al benessere occidentale, all'agio, alla ricchezza, personificata soprattutto da quel marito, snob e razzista peraltro.
E' come se quel barbone fosse una specie di virus arrivato ad "ammalare" (e la malattia, la spossatezza, sono spesso presenti) quel benessere.
Non a caso la protagonista più volte dice frasi emblematiche, come
"I fortunati devono essere puniti"
o ai propri figli
"...loro non hanno una vita bella come la vostra"
In questo senso potremmo anche vedere il film non come un attacco oggettivamente "esterno" a quello stile di vita ma anche come reificazione della protagonista di una sorta di senso di colpa per la propria condizione privilegiata. Senso di colpa acuito ed arrivato ad un punto di non ritorno nella scena iniziale del pestaggio.
In questa particolarissima, assurda e grottesca analisi sociale c'ho rivisto anche certo Bunuel.
Ma, restando a lei, il film può avere una lettura molto più psicologica. Borgman potrebbe rappresentare per la donna qualcosa di represso, tenuto dentro, probabilmente di matrice sessuale. Quell'uomo le provoca sensazioni contrastanti ma, in generale, una grandissima attrazione. E questa sensazioni sessuali, represse e laide, piano piano vengono fuori e minano per sempre il rapporto, fisico e non, col marito.
In questo senso anche gli incubi che Borgman le fa venire sono quasi sempre a sfondo molto sensuale e di conflitto col marito.
Attenzione, questa lettura sessual-psicanalitica del barbone non credo sia da cestinare.

Se ci pensiamo bene la struttura del film somiglia molto a quella di un'altra perla nordica, Forza Maggiore. Anche là da un piccolo e quasi insignificante episodio faceva cominciare un lento ed inesorabile processo distruttivo nell'unione famigliare.
La fuga dalla valanga lì, il pestaggio al barbone qua. Come se un piccolo episodio ti porti a conoscere veramente la persona che hai accanto da anni.
Ma c'è ancora un'altra lettura, quella più vasta.
Ed è considerare Borgman un film sul Male, quasi un male assoluto.
E, già che ci siamo, sul Diavolo, sul suo potere ammaliante, sul suo essere cattivo e sinuoso, sul suo saper lavorare nell'ombra.
In Borgman accadono cose cattivissime (la cosa della testa nel cemento è terribile), muoiono innocenti, il gruppo dei cattivi ha un piano...diabolico da portare avanti. E quelle cicatrici che hanno, e il prologo in cui un prete voleva ucciderli, e come riescono a portare dalla loro parte i bambini e la balia, e come cicatrizzino anche loro, e la presenza dei cani (ancora un simbolo animale per il Diavolo?) e quest'atmosfera per cui ad un certo punto ci troviamo tutti personaggi non lucidi, persi. Sono tantissimi gli elementi per portarci in una dimensione trascendentale.
E, anche se non parlassimo del Caprone, sempre di male simbolico si potrebbe trattare.
Tra l'altro ad un certo punto ho proprio pensato al superbo The Witch e a come il male piano piano riuscisse a prendersi tutti.
Là c'era un caprone, qui un barbone.
Rimangono molti interrogativi, qualche scena troppo incomprensibile e forse evitabile (lo spettacolo in giardino) e dei passaggi un pò confusi.
Lui è magnifico, lo avevamo già visto in El Abrazo de la Serpiente.
Alla fine quale che sia la lettura che volete dare, ci sarà una morte, quella finale.
E l'ultima immagine che vede Borgman è quella di completa distruzione.
Che sia la distruzione di uno stile di vita, di una società, di un mondo, quello occidentale, o solo di una famiglia e di una persona non lo so.
Ma questo rimane, una villa grigia e fredda e un giardino completamente divelto.

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