1.6.16

Recensione "Office Party" (1988 - George Mihalka) - Boarding House - 5 - di Giorgio Neri


L'avrete capito, io ho un debole per Giorgio e la sua rubrica... Perchè è probabilmente quella più "unica", quella più specializzata. Capita a volte che le perle nascoste che Giorgio recupera non abbiano altre recensioni nell'intero web. E poi amo il modo in cui ne parla, competente, appassionato ma sempre comunque professionale, divertente e interessantissimo. 
E, caratteristica non secondaria, Giorgio sa scrivere.
Alla fine sti cazzi che i film che propone non li abbia visti nessuno nè, praticamente, nessuno li possa vedere. E' bello anche per questo



 Siamo gli uomini vuoti


Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
(T.S. Eliot, Gli Uomini Vuoti)


Quando vidi questo film per la prima volta ero appena risalito dalla cantina di una ex-videoteca, ormai chiusa e dimenticata, che svendeva videocassette ad 1 euro. Forse mi ero fatto irretire nella scelta dal nome di Michael Ironside (caratterista importante e fondamentale del periodo Ottanta e Novanta, con all’attivo film come Scanners di David Cronenberg o Starship Troopers di Paul Verhoeven: una faccia che se la vedi, la ricordi).
Però quando vidi il film ne rimasi molto colpito, scoprendo che il regista George Mihalka era balzato agli onori della cronaca proprio in quel periodo, 2009, perché Patrick Lussier aveva trasposto al cinema il remake (in versione 3D) di un suo film del 1981: San Valentino di Sangue (titolo originale: My Bloody Valentine).
Bello era il remake e bello l’originale.
Sul web il regista Mihalka non se lo fila nessuno o al massimo lo denigrano; io invece considero questo Office Party come un altro film riuscito della sua filmografia altalenante, costellata adesso esclusivamente da lungometraggi televisivi e serie tv.


La trama del film verte su un grigio impiegato che prende in ostaggio tre suoi colleghi (un’anziana donna, lo stesso Michael Ironside e una bella ragazza). Finirà male.

Si potrebbe supporre che sia un altro di quei film che fa sprecare al pubblico novanta minuti della sua vita, soprattutto considerando il fatto che per la maggior parte del tempo è ambientato nello scarno e giallognolo ufficio in cui lavorano i personaggi.
Per fortuna, invece, non ci si annoia.
Merito innanzitutto dello stesso Ironside che dà vita ad un personaggio viscido, squallido e, al tempo stesso, frustrato dal fatto di avere una moglie che ha usato la sua vagina per fargli ottenere il posto di capo nell’ufficio adibito alla ricerca di mercato e che, all’inizio, tenta un ridicolo approccio con la bella e giovane biondina. Un capo straordinario.
Quest’ultima è il personaggio compassionevole, che fa in modo che il sequestratore possa compiere il suo progetto di rapimento pur non capendo appieno le sue intenzioni finché non si concede sessualmente a lui in una situazione ambigua, in cui è possibile che lei lo faccia per indispettire e degradare Ironside (infatti, dopo la visione di quell’amplesso che lui non potrà mai ottenere con la sua posizione sociale, il capo si siede alla sedia, e nella stessa posizione, che poco prima occupava il rapitore) e nel contempo perché convinta che il suo disperato collega, che è arrivato a tale azione, sia davvero buono e gentile e terribilmente solo (come soli sono tutte le persone che si sentono escluse dal mondo e impossibilitate a comunicarlo, soprattutto chi è impiegato in un ufficio: microcosmo per eccellenza di malignità, sotterfugi e soprusi).


Terzo ostaggio è l’anziana donna, il cui triste passato si svelerà a poco a poco (ha commesso un aborto e per non aver preso alcune pillole ha avuto una grave emorragia, che probabilmente l’ha privata per sempre della possibilità di avere figli): questa donna è all’inizio un corpo meccanico e abitudinario (al telefono con la polizia, intervenuta sul luogo, risponde sempre: “Ricerca di mercato. Sono la signora...”) poi si trasforma in una biasimevole donna piagnucolante che deciderà di rivelare al marito perché non possono avere figli. È il “personaggio variabile”: ora diventa estremamente angoscioso ora paradossalmente divertente, “termometro impazzito” di quel teatrino terribile di acrimonia e odio, vero fulcro del film, che si sviluppa tra la ragazza e il pavido capo.
Dulcis in fundo, il motore primo dell’azione: l’immenso David Warner, attore che ha partecipato a diversi capolavori cinematografici tra cui Cane di Paglia di Sam Peckinpah (1971). Proprio da questo film si potrebbe ricevere un’ottima pietra d’angolo per costruire l’impalcatura con la quale comprendere il film di George Mihalka.
Infatti, il “cane di paglia” dovrebbe essere una persona che accetta sommessamente il proprio destino senza mai reagire alle ingiustizie e ai piccoli soprusi che subisce quotidianamente; così come gli Uomini Vuoti del poeta Eliot sono “uomini impagliati”. Il personaggio di David Warner è un cane di paglia che cita Eliot e che vorrebbe “chiudere il cerchio” perché “gli uomini vuoti appoggiano l’un l’altro la testa piena di paglia” giungendo infine nel regno dell’Ombra, cioè assoggettandosi alla Morte.
E lui sarà la causa che porterà i suoi “ospiti” a chiudere quel cupo cerchio di nullità.
Il film, analizzando tale sottotesto, offre indirettamente una spiegazione complessa e anche poetica (potrebbe essere la messa in scena della poesia di Eliot: non è così astrusa come idea...) sul perché il rapitore compia il suo gesto violento e combattivo.
Ciò è da apprezzare: pochissimi film marginali del cinema sono riusciti a mantenere una vena autoriale che non fosse appiccicata per soddisfare una trama da kammerspiel che, come tutti i kammerspiel, potrebbe faticare ad arrivare ai canonici novanta minuti.


Nel mezzo, il film offre sprazzi ironici che fanno deviare il cursus degli eventi tragici verso un tono più da commedia, alleggerendo la visione. Ad esempio, quando i tre si interrogano sul motivo per cui prenderebbero in ostaggio delle persone; o la sequenza comica in cui si dedicano a far bisboccia (che, secondo il piano del capo, sarebbe servito per ammorbidire la sorveglianza vigile del loro collega, ma invano); oppure il momento surreale in cui Ironside parla con la moglie mentre è intenta ad un amplesso con il direttore della fabbrica e svela di essere un uomo di nessuna forza d’animo per riuscire a meritarsi ciò che ha avuto; o, ancora, il processo portato avanti dalla ragazza ai danni del capo, che termina con il vomito che l’anziana donna, ubriaca, riversa generosa su di lui.
Ma sono brevi attimi di gioia che distraggono un poco dalla presenza della Morte, che può essere incarnata da un cecchino in posizione frontale alle finestre e da un sindaco che pensa alle elezioni in quanto desideroso di uscire a testa alta da questa storia; o da un poliziotto che ha compreso appieno ciò che sta facendo quell’impiegato un po’ strano.
E qui il film, al di là degli aspetti comici e deliranti di cui sopra, ha una stranezza davvero insolita anche per quei prodotti che smantellano la realtà degli eventi più banali.
Il poliziotto prende il posto del cecchino e si rifugia sulla cisterna dinanzi alle finestre dell’ufficio con in mano il libro di Eliot e la sua voce narrante commenterà tristemente la sua consapevolezza di quel gesto estremo, mentre poco prima cercava di risolvere la faccenda litigando con tutti e sbraitando e chiamando ossessivamente l’ufficio. Nell’ultima parte del film (all’incirca venti minuti) diventa non un “uomo di paglia” che si affanna a mettere ordine in questa sporca e amara faccenda, ma passeggia tra corpi insanguinati che hanno sul viso una maschera bianca recitando Eliot (una scena che dovrebbe essere l’equivalente dei brevissimi flashback che attraversano gli altri personaggi: molto simbolica), si isola dal gruppo delle forze dell’ordine, che scompaiono, e da strenuo difensore di quel povero impiegatuccio diverrà la causa della sua morte, sparandogli nel centro della fronte. In poche parole, comprende il Gioco.

Questi ultimi cinque minuti culminano con la morte di Ironside, il cui sangue imbratta una parete intera mentre tentava di uccidere l’odiosa ragazza con una forbice nascosta nelle mutande, e con la fuga a passo di danza (vedere per credere) dell’anziana donna.
Anche la ragazza si salva e, pur tentando invano di dissuadere quello strano suo collega, David Warner si avvicina alla finestra e aspetta che arrivi il colpo mortale.
E arriva, fine del Gioco.
In quell’attimo sembra che tutte quelle persone stiano chiudendo il cerchio; i brevissimi flashback che li hanno contraddistinti (a quello del capo si aggiungono: il litigio, dopo l’amplesso, della ragazza con un pezzo grosso della fabbrica per aver dato il ruolo di capo ad Ironside e non a lei; l’aborto in una stanza ambulatoriale insanguinata dell’anziana donna - nota: questo punto non è ispirato ad una vaga ideologia cattolica che vede l’aborto come atto vergognoso, è solo un fatto che spesso contraddistingueva quelle ragazze più disinibite nel periodo degli anni Cinquanta - e quello più enigmatico, che appartiene al rapitore: un ragazzino, lui stesso da giovane, che istigato dal padre cacciatore muove le braccia imitando un uccello....era solo questione di tempo, quindi?) diventano appunto ricordi di un tempo passato e ormai da dimenticare, frammenti di vita che hanno svelato il desiderio di Potere e Denaro e Menzogna di queste pedine umane a cui si aggiungono la Consapevolezza del Gioco per mezzo di un uomo che svela agli altri il loro “Essere Svuotato” (David Warner assume il ruolo di Eliot?) e l’Ineluttabilità della Morte che spazza via tutte le cognizioni di questo sognatore armato di pistola e mitragliatore e poi si chiude in un silenzio di amarezza, forse sconfitto (il poliziotto).
Il titolo originale, a chiudere questa pericolosa circonferenza di destini, è: Hostile Takeover che tradotto letteralmente significa “acquisizione ostile”.
Acquisizione del Sé?

Quando il colpo è esploso e lo strano impiegato muore, questi ha raggiunto il suo scopo.
Ha poggiato la testa per ultimo e ha chiuso il cerchio.

Non già con uno schianto ma con un lamento” avrebbe detto Eliot.
Invece lui, finendo, sorride.

[Una menzione speciale per la musica composta da Billy Bryans e Aaron Davis, la cui partitura commenta in maniera malinconica, e al tempo stesso inquieta e inquietante, il (de)corso della vicenda. Ovviamente, in perfetto stile anni Ottanta.]


3 commenti:

  1. Ma io adesso voglio vederlo...

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    1. Ciao! Su Youtube lo trovi intero (ma solo se conosci il francese), mentre su ebay vendono il dvd in italiano (che, con tutta probabilità, sarà un riversamento della vhs)...potresti sempre però provare a scaricarlo da internet aggiungendo il nome del regista...a presto!

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    2. Grazie! Tentiamo in primis con il francese, se ancora qualcosa me ricordo.

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due cose

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3 ciao