28.2.11

Il Cigno e il Nero


Fa davvero rabbia vedere certe pellicole. Chissà quali turbe aveva il regista. Chissà che fantasie doveva soddisfare.Chissà se godeva nello scrivere e nel girare certe scene. Chissà se dopo non si sia vergognato almeno un pò. Già, dopo, è tutta lì la differenza.

La ragazzina, come la Portman, è una ballerina, un fragile cigno ancora in attesa di sbocciare definitivamente e mostrare a tutti la propria bellezza. Qui il regista dà il meglio di sè, ottime le coreografie, splendida la fotografia che tra un'arabesque e una pirouettes ci mostra le piccole danzatrici nel loro splendore, nella loro gioia così legata indissolubilmente al ballo. E' dura l'insegnante perchè niente vuole più disciplina che la danza. Poi le ragazzine escono, si salutano e da qui comincia tutto un altro film. Una di loro infatti viene avvicinata, nella notte, da una persona. Anticipo sin d'ora che non ci verrà mai mostrato il volto del soggetto, tecnica già usata in precedenza anche con buoni risultati. Qua no, qui vorremmo vederlo, altrochè se vorremmo vederlo. Non riesco neanche a commentare il resto data l'inumanità, l'orrore, lo schifo, lo squallore che può dare vedere un uomo infliggere 6 coltellate a una bambina. Nella gola. Nella schiena. Non ci è risparmiato nessun dettaglio, vediamo i fendenti, li ricorderemo per sempre. Mi viene quasi il dubbio che il film debba essere visto, che tutti debbano vederlo perchè tali immagini dovrebbero farci vergognare di appartenere alla stessa specie di questi uomini. Una cosa è immaginare, un'altra vedere. Dunque consiglio a tutti di recuperare Il Cigno e il Nero perchè nel suo squallore può comunque insegnarci tante cose. E quando finalmente sapremo il nome e conosceremo il viso dell'attore protagonista, lo costringeremo a girare un'altra pellicola, una pellicola che sarà la sua ultima, una pellicola che lo farà tremendamente soffrire. Crederà, ancora una volta, di trovarsi in un film. Stai tranquillo, stiamo già scrivendo tutti la sceneggiatura, ci divertiremo. Bastardo.
A Yara.

( voto 0 )

26.2.11

Recensione: "West and Soda"

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Il Progresso è una delle più chiare dimostrazioni di quanto sia grande l'intelligenza dell'uomo. Senza progresso non potrei nemmeno scrivere questo commento e avere la possibilità che venga letto in qualsiasi momento, da qualsiasi persona in qualsiasi luogo. Il progresso però è uno tsumani che tutto travolge e tutto distrugge. Qualcuno, o qualcosa riesce a sopravvivere. Quel qualcuno o qualcosa divengono così quello che noi chiamiamo malinconia, ricordo, romanticismo.
Bruno Bozzetto è probabilmente il più grande disegnatore di sempre in Italia. Anche lui è stato travolto dallo tsunami, ha provato a difendersi, ad adeguarsi e in qualche modo ancora adesso, dopo 40 anni, riesce ad andar avanti.
I suoi capolavori però rimangono le opere giovanili, realizzate in un'epoca (Sessanta/Settanta) in cui definirle d'avanguardia è dir poco.
West and Soda è Storia del nostro Cinema, il primo lungometraggio moderno di animazione realizzato in Italia. Bozzetto, appena 26enne, veniva dai cortometraggi, "materia" in cui ha eccelso a livello mondiale con l'Orso d'oro a Berlino e la nomination all'Oscar. Si butta così sul film lungo senza avere alcuna esperienza alle spalle. Sceglie come tema la parodia del western, genere imperante del tempo. Il risultato è divertentissimo e di grandissima qualità. Dai disegni alle musiche, dai rumori alle scenografie, dai dialoghi agli effetti speciali (guardate le incredibile scene del temporale e dell'incendio per capire) tutto è di altissimo livello. 

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Forse è il plot l'unica componente un pò debole, la storia è molto semplice e schematica, i personaggi troppo stereotipati anche se tutto ciò rappresenta probabilmente una volontà dell'autore perchè componente base del genere parodico. C'è una grande capacità di rendere cinematografico il disegno. L'uso delle inquadrature,dei campi, delle panoramiche e dei dettagli dimostrano una profonda conoscenza da parte degli autori della macchina cinema e in particolare del genere western. Scene poi come Johnny dormiente con le mani pronte a sparare, la rissa notturna al saloon, il cane ferito, gli impresari delle pompe funebri, gli spari sott'acqua, il Cattivissimo che trangugia il pollo, sono assolute perle di comicità. Siamo forse lontani dal livello di quello che è l'assoluto capolavoro di Bozzetto, Allegro non troppo (non dico una bestemmia considerandolo superiore a Fantasia) ma anche West and Soda è un piacere per gli occhi. A chi possiede un animo malinconico o romantico; a chi riesce all'arrivo dello tsunami a salvarsi sempre salendo la collinetta del ricordo consiglio di recupere Bozzetto, di guardarlo e di farlo guardare, di, per una volta, lasciar da parte il dvd Disney e sentirsi orgoglioso di essere italiano.

( voto 8)

24.2.11

Recensione: "Un uomo qualunque"


presenti spoiler
Buon film che avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere ottimo. Infatti, anche se alla luce del finale e, soprattutto della personalità del protagonista, gli inserti surreali, fantasiosi, a volte irreali, sono più che giustificati, probabilmente il ricorso a meno generi, a meno tagli e a meno stili avrebbe dato a Un Uomo Qualunque una potenza grezza molto maggiore, ancor più devastante.
L'inizio è davvero ottimo. Un meraviglioso Slater (capace di dare un senso di frustrazione e latente violenza ma al contempo di enorme dolcezza al suo personaggio, specie con dei grandiosi primissimi piani) è Bob, il classico impiegatuccio maltrattato e vessato da tutti, una persona senza spina dorsale che però, raggiunto il culmine di silente sofferenza, decide "semplicemente" di sterminare tutti. Lo farà al suo posto un altro collega (sempre un loser), poi ucciso dallo stesso Bob che diventa così una sorta di eroe per l'azienda. Salva anche la vita di una collega (il suo amore non contraccambiato) costretta però alla completa paralisi per le ferite ricevute. Si metteranno insieme fino al tragico finale.
Già, il finale. Non so se sia già stato detto da altri, ma la struttura di Un Uomo Qualunque è praticamente identica a quello di un altro buon thriller (rovinato, tremendamente rovinato dal doppiaggio della Thurman), ossia Davanti agli Occhi. Quale sarebbe la mia vita se...? Quale scelta prendere quindi? Molta gente ha dei dubbi in questo finale, dubbi che io stesso ho dovuto fugare con altre 2 visioni (solo degli ultimi 5 minuti ovviamente...). 

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La chiave di tutto, la sicurezza, me l'ha data non tanto un passaggio di trama (comunque evidente come del resto il monologo finale) ma un inserto di montaggio, una dissolvenza che ci porta inequivocabilmente in un altro tempo. Tutto poi torna: l'assurdità del salto di carriera di Bob; la nomina di Pensatore Creativo; alcuni passaggi troppo idealizzati; alcune scene quasi irreali, come quella degli aerei; la strana coincidenza del doppio omicida contemporaneo (che alla luce di tutto possiamo quindi considerare la parte di sè che ha avuto coraggio) e tanto altro. Bob, almeno idealmente, ha cercato di provare e accarezzare cosa fosse l'Amore, ha tentato di essere un uomo "normale", ha provato ad uscire dal suo ruolo per sentirsi migliore, realizzato ma, alla fine, ha raggiunto la consapevolezza di essere un debole, anzi IL debole del suo gregge. E' questo il potente messaggio del film. Gli ultimi, gli emarginati, i deboli non sempre hanno la forza di reagire, vorrebbero farlo ma non ci riescono, il pensiero non si tramuta mai in azione. A quel punto, e anche qui si racconta una tragica realtà, la soluzione diviene solo una, quella che sceglie Bob. Non ha saputo dare un pugno al suo destino, ha provato ad essere altro ma, purtroppo, è difficile andar contro la propria stessa natura, quella per cui "he was a quiet man".

(voto 6,5)

22.2.11

Recensione: "Three...Extremes"



Non posso nascondere una certa delusione. Eppure l'operazione era molto interessante, un trittico di film "de paura" firmato da 3 importantissimi registi orientali, l'immenso Park della trilogia della vendetta, il regista cult Takashi Miike (che a forza di 2,3 film all'anno ha comunque nel suo background più di qualche perla) e l' "a me sconosciuto" Fruit Chan.
Korea, Giappone e Cina insomma. Se non sbaglio solo Miike aveva già avuto esperienze di genere mentre per gli altri è una prima volta. Le mie impressioni:

RAVIOLI (di Fruit Chan) VOTO 5
L'idea di partenza per quanto aberrante era senz'altro ottima ed "estrema" come il titolo dell'operazione suggerisce. Il fatto è che ho trovato tutto molto confuso, appena abbozzato, scolastico. Il finale poi è davvero affrettato malgrado abbia una certa coesione col resto. Nota senz'altro più positiva è il disturbante uso del rumore della masticazione specie perchè il regista ci aveva già rivelato (particolare importantissimo) in cosa consisteva il cibo.

TAGLIO (di Park Chan Wook) VOTO 6,5
A livello visivo è un'autentica meraviglia. Park riprende il gusto un pò kitsch già visto in Lady Vendetta e tra inquadrature incredibili, virtuosismi di regia, pulizia di fotografia ed effetti visivi seminascosti ma notevoli, ci offre un mediometraggio che è un piacere per gli occhi.Il difetto più grande è la faciloneria con la quale sono descritte le psicologie dei personaggi e le motivazioni alle proprie azioni. Futilissimo il motivo della vendetta (sempre lei...) della comparsa, assurdo il perchè voglia sterminare la propria famiglia, quasi inconcepibile, gratuito, cinematografico il finale dello scambio di ruoli. Interessante il discorso metacinematografico e quello della distruzione in 10 minuti di una coppia apparentemente solida. Tanto sangue nel finale. Curioso come il cinema horror orientale non possa fare a meno di usare i bambini; anche in questi 3 piccoli film, da semplici feti ad adolescenti, sono assoluti protagonisti.

SCATOLA (di Takashi Miike) VOTO 7
E' senz'altro l'episodio migliore e quello che riesce a raggiungere maggior profondità. Del resto la materia trattata, cioè lo scavo nella propria psiche, nei propri ricordi, nel senso di colpa, non può che dare profondità. Episodio di grande classe ed eleganza, intelligente, quasi colto, anche se un pochino confuso. Notevoli le scene mostrate nel silenzio assoluto, nessun rumore di scena, nessuna musica. Non sono sicurissimo di averlo capito fino in fondo e forse questa molteplice possibilità di darne un senso se da un lato depone a favore, dall'altro potrebbe dimostrare una non definitiva compiutezza.

Insomma, se ci fosse stato un film con il coraggio e il potere disturbante di Ravioli, la bellezza visiva di Taglio e la profondità psicologica di Scatola avremmo avuto un capolavoro. Magari i 3 possono rincontrarsi e pensare a qualcosa del genere.

( voto 6 )

19.2.11

Recensione: "Il Segreto dei suoi occhi"



(presenti spoiler nel finale di recensione)

Meraviglioso. 
Film da vedere e rivedere per capire come si possa raggiungere una perfezione di scrittura molte volte tralasciata in altre pellicole a scapito di altre componenti ben meno importanti. Una struttura solidissima in cui ogni tassello va perfettamente al suo posto, in cui ogni singolo gesto, ogni singola parola, ogni situazione hanno un proprio perchè e si legano perfettamente l'uno all'altro. Non c'è niente di superfluo, tutto alla fine acquisisce una propria importanza.
L'assistente al Pubblico Ministero (ora in pensione) Benjamin vuole scrivere un romanzo che racconta un fatto di sangue accaduto 25 anni prima di cui aveva personalmente condotto delle indagini. Il fatto fu archiviato ma Benjamin vuole in qualche modo riprenderlo in mano.
Prima di analizzare le tematiche, impossibile non citare l'ottima regia di Campanella, sobria quando serve ma anche capace di grandi virtuosismi come l'incredibile sequenza dello stadio (magnifica la ripresa aerea e il piano sequenza dell'inseguimento) o quella del treno; in stato di grazia la scrittura dei dialoghi, addirittura sul tono della commedia a volte; perfetti tutti, veramente tutti, gli attori: dalla bellissima Soledad Villamil al protagonista Ricardo Darin, da Guillermo Francella capace di dare tragicità e fortissima presenza comica al personaggio forse più riuscito, quello di Sandoval, fino a Javier Godino, il killer della ragazza, straordinario ad esempio nella scena dell'interrogatorio.
Ma, come dicevo all'inizio, quello che sorprende più è l'assoluta compattezza dello script in cui si muovono parallelamente due storie, quella del caso dell'omicidio e quella dell' amore latente tra Benjamin e Irene. 

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Sullo sfondo anche la terribile storia dell'Argentina tra la fine degli anni 70 e l'inizio anni 80 che pur entrando prepotentemente nel plot (specie con il personaggio di Isidoro) è comunque da considerare non più di semplice cornice a mio parere.
Benjamin deve chiudere un cerchio, deve trovare un finale, non può pensare che un giovane follemente innamorato di una ragazza prima stuprata e poi uccisa abbia lasciato perdere l'idea di punire il colpevole. Quello che scoprirà (in una scena terribile, veramente terribile) è solo apparentemente qualcosa che non ha senso, in realtà è perfettamente plausibile e contestualizzata all'interno del film. Ora Benjamin sa, può tornare per la prima volta dal giorno dell'omicidio a viver sereno, può finalmente andare a "salutare" l'amico Sandoval morto come un martire per salvarlo; può trovare la forza per un ultimo gesto, un gesto sospeso per 25 anni, non aver più paura dell'amore, trasformare quel "temo" l'amore in un "teAmo" aggiungendo semplicemente quella A, quella A che prima, come nella macchina da scrivere, sembrava non esserci più, imprigionata nell'anima e nel ricordo.

"Smetti di ricordare, altrimenti avrai 1000 passati e nessun futuro" dice Ricardo Morales a Benjamin. Non è vero,lo sa Benjamin, impossibile dimenticare certe cose, impossibile vivere nel nulla, impossibile far finta che un amore così grande (brutalmente interrotto) e il ricordo di esso possano non accompagnarci per sempre.

( voto 8,5 )

17.2.11

Recensione: "Gone Baby Gone"


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Presenti Spoiler

Che bellezza questo esordio in regia di Ben Affleck. Sinceramente mi pare uno delle migliori opere prime che possa ricordare in questi ultimi 10 anni (mi vengono in mente "al volo" l'AmoresPerros di Inarritu, Confessioni di una mente pericolosa di Clooney e Crash di Haggis). Certo, i meriti in gran parte vanno al romanzo di riferimento (omonimo) di Lehane che dopo Mystic River e Shutter Island vede trasposta per la terza volta una sua opera in pellicola,perlopiù sempre con grandissimi risultati. Sono talmente tante le tematiche che ritornano nelle storie raccontate da Lehane che è forse questo che ha portato una certa critica a parlare di Affleck come nuovo Eastwood, è inevitabile.
La corruzione, la disperazione, i terribili segreti da non rilevare, l'ambientazione, le scelte da compiere, sono molti ed evidenti i punti d'incontro tra Gone Baby Gone e Mystic River. Quando poi butti dentro nel cast calibri come Freeman ed Harris è normale avere la sensazione di trovarsi (quasi) in un film di Clint.
Regia classica come lo script pretende, nessun volo pindarico, nessun virtuosismo, nessuna spettacolarizzazione. E dire che quando ci sono di mezzo i bambini la strumentalizzazione sarebbe anche facile...

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Gone Baby Gone ha la struttura di un thriller in cui piano piano nuovi tasselli vengono svelati ma al contempo possiede anche la carica emotiva, la disperazione, la capacità di parlare dell'Uomo di un grande film drammatico d'autore, fuori dal genere.
Cos'è giusto e cosa non lo è? Quali confini può superare l'etica, la legge, la morale? Gli ultimi 20 minuti del film pretendono un'esame di coscienza per ognuno di noi, lo stesso peraltro che hanno affrontato o sono costretti ad affrontare tutti i protagonisti. Il dilemma di Patrick (un buon Casey Affleck), la scelta che deve compiere, è a mio avviso una delle più difficili che ultimamente il cinema mi abbia "offerto": restare dalla parte della legge e dell'ordine naturale delle cose (restituire la figlia alla madre) oppure applicare il buon senso, decidere per il meglio? . Rovinare la vita di due famiglie felici (la sua e quella di Freeman) soltanto per ricostituire quella di una famiglia naturale nei ruoli ma completamente innaturale, abietta e devastata nei rapporti, oppure, anche se attraverso morti ammazzati, corruzione, comportamenti illegali, offrire la miglior soluzione possibile, il miglior futuro a una giovane vita? Gone Baby Gone ci trafigge il cuore perchè senza retorica ci parla dei nostri figli e del nostro ruolo di genitori, ruolo che, ricordiamo, non c'è stato dato per diritto divino ma va confermato ed alimentato giorno per giorno, ruolo che a volte si deve avere il coraggio di abbandonare ed affidare ad altri. La magnifica scena finale con Patrick e Amanda seduti sul divano ha dentro in una sola immagine un mondo intero. Guardiamo Amanda e vediamo ogni bambino di questo mondo, tutti quelli la cui infanzia è stata violata (a tal proposito impossibile non accennare alla grandiosa e terribile scena del pedofilo, del corpicino, dell'esecuzione), tutti quelli che vivono nell'indifferenza del genitore, tutti quelli che avrebbero potuto crescere in maniera diversa ma casi del destino o difficilissime scelte personali, come quella di Patrick, hanno impedito. E in Patrick vediamo la presa di coscienza di un possibile fallimento, un inizio di consapevolezza di aver compiuto la scelta giusta più sbagliata di questo mondo.
Questo è il cinema che amo, quello che porta alle riflessioni più profonde, quello che ci destabilizza, quello che ci mette in crisi, quello che raccontando una vita entra nella nostra.

( voto 8,5 )

14.2.11

Recensione: "Dead Silence"



Fughiamo subito ogni dubbio. Dead Silence è una pellicola piena di difetti. Una storia per quanto interessante che non sta in piedi; una serie di comportamenti illogici dei protagonisti; una recitazione appena sufficiente; una serie di situazioni, clichè e dinamiche viste e riviste.
Indubbiamente possiede però una qualità difficile da trovare ultimamente in un genere che sforna tanto ma (quasi) tutto di basso livello, quella di creare una buona atmosfera, magari non di Paura pura (negli ultimi anni credo che solo i 10 minuti finali di Rec mi abbiano veramente colpito in tal senso) ma senz'altro di una certa inquietudine dovuta probabilmente alle sembianze del pupazzo protagonista, veramente notevole e forse di ancor maggior presa su di me se non ne avessi ravvisato una certa somiglianza col Cavaliere, somiglianza che in più di un'occasione mi ha strappato un sorriso e allentato la "tensione".
Non finiscono qua i meriti. Molto buone le location, specie quella del vecchio teatro adiacente al laghetto, e più che discreto il make-up, sia quello delle vittime (ritrovate tutte con la bocca grottescamente spalancata e senza lingua) sia quello della ventriloqua Mary Shaw. Interessante e abbastanza perturbante anche la crasi fisica uomo-pupazzo presente in più di una scena, certo volta a sfruttare uno dei clichè, quello delle bambole, più abusati nella storia del genere.

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Il finale, se da un lato può sembrar veramente notevole e certo inaspettato, dall'altro apre nel plot degli squarci in una tela già molto rovinata. Molte cose non tornano, molti passaggi sono affrettati e illogici per non parlare dei sopracitati comportamenti del protagonista (gemello di Lionel Messi e ugualmente fantasista nel crearsi le situazioni più di pericolo o paura che si possano neanche immaginare) assolutamente insensati dall'inizio alla fine come ad esempio quando è protagonista di uno dei più diffusi errori nel cinema horror,ovvero la quasi assoluta insensibilità alla perdita di una persona amata. Insomma, Dead Silence ha ossa e cartilagini gravemente afflitte da osteoporosi, il rischio di fratture insanabili e crolli improvvisi e definitivi è continuamente dietro l'angolo, però, zoppicando come un novello Dorando Petri, riesce in qualche modo ad arrivare al traguardo. Senza neanche essere sorretto per giunta.

( voto 6,5)

11.2.11

Recensione: "The House of Chicken" - Gli Abomini di serie Z - 6 -


Non ci siamo proprio. Capisco la voglia di saltare la barricata, vedere l'effetto che fa, voler magari dimostrare di poter fare l'uno e l'altro ma non ci si inventa attori, registi e sceneggiatori da un momento all'altro, c'è poco da fare.
The House of Chicken è un progetto che vede coinvolti alcuni dei più grandi doppiatori italiani che un pò per divertimento un pò molto seriamente hanno deciso di metter su una casa di produzione, scrivere un film, girarlo e recitarlo.
Il progetto è legittimo e interessante, ci mancherebbe, il risultato molto meno.
Funziona tutto veramente poco. La storia è banalissima, un rigo di soggetto probabilmente, la fotografia (in digitale) veramente pessima, la regia tenta di essere virtuosa fallendo miseramente. E' proprio a livello visivo che House of Chicken mostra i suoi più grandi difetti: il regista usa una serie di giochi grafici, ralenti, inquadrature impossibili, distorsioni, dissolvenze ardite, per cercare una dimensione iperreale che invece provoca solo fastidio e noia. Soprattutto i sogni/visioni del protagonista, l'allevatore di polli e serial killer (!?) Morna, sono davvero quanto di più insopportabile mi sia capitato ultimamente da vedere. Tutto questo mi ricorda molto i film di Louis Nero, regista che si crede d'avanguardia, visionario, geniale come probabilmente questo Pietro Sussi.

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Una delle poche note di merito è la location, la casa dell'allevatore, talmente particolare per forma e colori che sembra essere uscita da un fumetto o da un film di Burton. Sempre piacevole sentire le voci dei protagonisti e interessante cercare di abbinare a tali voci i nomi dei grandi attori hollywoodiani.
Per una volta non mi sorprende che questo film abbia trovato moltissimi problemi di distribuzione. Se non fosse per la particolarità di dare finalmente un voto alle voci di tanti (bravissimi) doppiatori italiani lo reputerei veramente pessimo. In più mi ha sempre dato un pò fastidio l'autoreferenzialità e il nepotismo della categoria. Non a caso recitano qua Vittorio Stagni, Ilaria Stagni (grande voce tra gli altri di Uma Thurman e Bart Simpson) e il figlioletto di quest'ultima.
Non credo che l'esperimento verrà ripetuto e ho il sospetto che la casa di produzione nata appositamente per quresto film nasca e muoia così.
Sempre con rispetto parlando, ci mancherebbe.

( voto 4,5 )

9.2.11

Recensione: "Persepolis"




La memoria.
La nostra memoria.
Ciò che noi siamo, da dove veniamo. Persepolis non è un film di denuncia, è un film di memoria, di ricordi, di sensazioni, di aneddoti, di gioie e di dolori. Persepolis fa quello che ognuno di noi dovrebbe fare, fermarsi un attimo e riannodare i fili della propria vita, capire come si sono accumulati i vari mattoni della costruzione che ora siamo, come tante piccole pezzi hanno poi formato il nostro insieme. Mai dimenticarsi il proprio passato, mai perdere le radici, mai abiurare o vergognarsi di ciò che siamo, ma andare avanti tirando al massimo l'elastico che ci lega al nostro passato perchè alla fine quell'elastico ci scaraventerà di nuovo là, al nostro principio.
Persepolis è il meraviglioso racconto dei primi 21 anni di Marjane, una ragazza iraniana che ripercorre la propria vita e con essa la Storia recente del suo paese senza mai piangersi addosso, senza alcuna commiserazione. Sarebbe un errore considerare Persepolis un cartone nel senso comune del termine. Persepolis è più vero di qualsiasi altra pellicola "normale", i suoi personaggi hanno più carne e più ossa di qualsiasi vero attore, si ha la netta sensazione che tutto quello che vediamo disegnato, non solo la storia generale ma ogni minimo dettaglio, come lo scarafaggio che esce dalla ciotola, come la mano che affiora tra le macerie, come le scarpe della Nike sotto lo spersonalizzante vestito nero, tutto sia realmente successo. Per non parlare dei dialoghi, la maggior parte dei quali scambiati con la memorabile nonna, figura al contempo buffa e sboccata quanto malinconica e quasi lirica nel comportamento e nelle parole (l'aneddoto dei petali è poesia pura).




Pellicola dal continuo cambio di registro, dall'irresistibilmente comico ("non è Michael Jackson, è Martin Luther King!", i traslochi, la crescita improvvisa) al tragico (le esecuzioni, la guerra), dal surreale ed onirico (i dialoghi con Dio) al drammatico (lo svenimento della madre), dal romantico (la scoperta dell'amore) al malinconico (gli ultimi saluti a familiari, sia vivi che morti, e al Mar Caspio).
La caratterizzazione della protagonista è forte e potente come del resto forte e potente è il suo carattere; una ragazzina ribelle, coraggiosa, sveglia, che come tutte le bambine osserva ed assorbe tutto quello che gli accade intorno. La cornice dell'Iran della dittatura, dei veli imposti, delle chiavi per il paradiso in cambio della morte, delle guerre intestine, è senz'altro importante e decisiva nella formazione di Marjane ma mi piacerebbe mettere tutto questo in secondo piano ed esaltare invece, come detto sopra, la forza del ricordo, degli affetti familiari, dell'amore per la propria terra (che come tutti i grandi amori può convertirsi in odio). La nostra vita è un lungo Giro ed è importante ricordarsi tutte le tappe, quelle in cui si è vinto e quelle in cui si è sofferto di più, quelle in cui si è lottato oltre le nostre possibilità e quelle in cui, purtroppo, si è clamorosamente perso.

(voto 8,5)

7.2.11

Recensione: "Rampage"



qualche spoiler


Non oso neanche immaginarmi quanto si sia divertito Boll nel realizzare Rampage. In realtà è un divertimento che nasconde anche una buona dose di coraggio perchè viviamo ormai in un mondo talmente traumatizzato dal 9/11 che fare un film così spietato e violento è senz'altro indice di carattere (e menefreghismo peraltro).
Quando si tratta dei media si parla spesso di cattivo esempio, possibile spirito emulativo etc etc; in questo caso il simpatico regista tedesco si è letteralmente fregato di tutti questi discorsi e senza fronzoli e riserve ha portato a termine fino in fondo il suo progetto.
Senza ipocrisia, il protagonista Bill attua quello che è uno dei sogni proibiti (e ci mancherebbe che non fosse proibito...) della maggior parte degli uomini: compiere una strage e restare impuniti. Prima di scatenare polemiche ci tengo che capiate al meglio le mie parole, non parlo dell'aberrante idea di uccidere, ma di far questo in un'ipotetica dimensione in cui il tutto "non vale", come ad esempio sognare di cadere dalla cima di un grattacielo e non morire, la ricerca insomma di sensazioni che in realtà, per motivi diversi, non possiamo e non dobbiamo vivere.

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Del resto come non deve esser considerato serio quello che dico, così sarebbe un gravissimo errore dare qualsivoglia valenza, importanza o parvenza di serietà a Rampage. Sempre di Boll stiamo parlando, un regista che mai si è preoccupato di insegnare qualcosa, inserire sottotesti, fare la morale. Lui si diverte e vuole far divertire, spesso attraverso la violenza e lo shock, sue caratteristiche cifre stilistiche.
Il film si divide in 3 tronconi ben definibili, in realtà legati tra loro anche dai numerosi flash forward: la preparazione della strage, l'attuazione della stessa, il lucido piano finale.
Lucido. Questo è l'aggettivo chiave per avere una lettura del film diametralmente opposta a quella che può essere la più immediata. Bill non è un pazzo. Bill non è uno che ce l'ha col mondo e prima di morire vuole compiere una carneficina. Bill non vuol morire, non lo mette nemmeno in conto. A mio parere se analizziamo al meglio il film, il ragazzo ce l'ha semplicemente contro quella gente "tutte chiacchiere e niente azione", quella gente che parla dei problemi del mondo, si riempe la bocca di retorica e poi non muove un dito. Bill ce l'ha con il suo migliore amico, Evan, perfetto esponente di questo tipo di persone. Così il ragazzo non diventa altro che il braccio di una mente altrui, l'esecutore fisico di tutte le verbose battaglie dell'altro. Non c'è pazzia in questo. 

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Bill ordina le armi a nome dell'amico, sa già tutto. Non ne può più del verba volant e così, rendendo Evan un martire delle proprie idee e convinzioni, è come se paradossalmente gli facesse un regalo. Così, tra una regia alla Von Trier, scene d'azione e di esplosioni perfette, sequenze riuscitissime come quella del salone di bellezza o del bingo, un'atmosfera centrale da videogame, Boll non ci parla di un ragazzo che impazzisce e compie una strage, non ci parla di uno che non ne può più delle futilità del mondo, al contrario ci racconta la storia di uno che vuoi per noia, vuoi per divertimento, vuoi per esasperazione, mette in pratica ("qualcuno può farlo") semplicemente delle idee altrui e poi, paradossalmente, non se ne prende i meriti ma li regala all'altro. Le immagini che ricorrono spesso del video in primo piano di Bill sono una chiara conferma di questa teoria. Il suo è uno scherzo verso l amico, una dimostrazione che in realtà si può fare quello in cui lui crede, basta trovare la persona giusta. Lui.
Può sembrar strano ma Rampage altro non è che una storia d'amicizia. Una malata, assurda, innaturale, violentissima e ipocrita storia d'amicizia.

( voto 7,5 )