24.4.10

Recensione: "La Città verrà distrutta all'alba" (2010)


Ormai il viral movie è diventato, a sua volta, un virus che si sta propagando nel mondo facilmente infettabile del Cinema. Dall' Hollywoodiano "Io sono Leggenda" al misconosciuto "The Signal" questo sottogenere dell' Horror e del Thriller è senz'altro il più battuto, insieme probabilmente al Torture. Questo remake dell'originale di Romero è senza dubbio uno dei migliori esponenti, almeno in questi ultimi 5 anni.
Il virus, propagatosi con l'acqua potabile, non trasmette una "zombiasi", ma una pazzia omicida. Il Governo è cosciente dell'accaduto essendo il virus una sua arma non convenzionale che, a causa di un incidente aereo, va a finire in una piccola comunità rurale. Bisogna intervenire, in fretta e in maniera drastica...
Ottima la regia che alterna sapientemente i campi lunghi della zona agricola, con gli stretti spazi interni dove può sempre nascondersi un crazy, un infetto. La tensione non è al massimo (del resto non siamo di fronte a un horror, bensì a un apocalittico), ma sono più di una le scene da brividi, specie nella funeral home, e quella dell'uomo con il rastrello. Buone le interpretazioni, non esagerato ma riuscito il make up degli infetti. Film americano ma antiamericano nella figura dell'esercito spietato che rende quasi ineluttabile un'assurda "soluzione finale".

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Come sempre, gli errori, incongruenze ed esagerazioni di sceneggiatura abbondano ma si possono perdonare o addirittura sorvolare in una pellicola che dall'inizio (scena nel campo da baseball) alla fine (bomba atomica) mantiene sempre un buon livello e un'alta soglia di attenzione. Il film presenta praticamente 3 finali, uno spettacolare, uno imprevisto (ma, paradossalmente, forzato) ed uno durante i titoli di coda, molto misterioso, che a mio parere sarebbe stato meglio evitare. Ultima annotazione sul titolo italiano. Sono molto combattuto perchè se da un lato mi suona magnifico, dall' altro mi sembra troppo traditore dell'originale e troppo evocatore di quello che succederà. Del resto questa traduzione si ebbe già con l'originale e forse è stato giusto mantenerla.

( voto 7)

14.4.10

Recensione: "Smile" - Gli Abomini di Serie Z - 1 -


Per una volta mi trovo costretto a commentare un film in una maniera un pò meno seria e "cinematografica" (se mai quelle precedenti lo fossero state). Del resto ricercare emozioni e analizzare aspetti tecnici in un film del genere sarebbe impresa improba e uno spreco di tempo. Prima di entrare in una divertente carrellata di perle regalateci da questo Smile mi limito a dire che è una pellicola in cui niente si salva, niente è credibile, nè i personaggi, nè i dialoghi nè (soprattutto) i comportamenti nè in senso lato la vicenda o l'intera sceneggiatura che si regge in piedi come un capretto appena nato perlopiù affetto da zoppia congenita.
Ma vediamo alcune chicche:
1 Alcune comparse (almeno 4,5 volte) guardano in camera.
2 Una delle ragazze alle 2,3 di notte si reca in una sperduta stazione del Marocco per tornare a casa, tra l'altro con un trolley che compare misteriosamente. Per non parlare della morte...
3 Segreterie telefoniche che partono addirittura prima che si finisca di comporre il numero.
4 Boschi del Marocco con una nebbia da Valpadana per creare atmosfera.
5 Una soggettiva di un ragazzo che dialoga con gli altri che definire patetica è un eufemismo.



6 Il ragazzo marocchino che muore trasformandosi in 3 secondi in uno scheletro fumante.
7 Tentativo di sfondare una porta colpendo sul muro a fianco.
8 Capolavoro: Ragazzo che accusa la protagonista di aver voluto uccidere tutti gli altri fotografandoli (ah, dimenticavo, chi viene fotografato da una Polaroid demoniaca poi muore) mentre la ragazza in realtà ha fatto UNA sola foto delle sei maledette quando addirittura TRE!!! sono state fatte dallo stesso ragazzo che l'accusava (tra cui un'autofoto a sè stesso!!!), veramente straordinario.
9 Fotografo che si accorge dopo un quarto d'ora che il corpo che sta fotografando è quello di sua figlia.
10 Spiegazioni sul potere della macchina fotografica e sul perchè sia maledetta (storia del fotografo) a dir poco risibile e senza alcun senso.
Ma soprattutto:
11 Gruppo di amici che vede morire uno a uno tutti i componenti in maniera orribile e si limita a dire "qui c'è un serial killer" o coprire il corpo con una coperta. Io se vedessi morire un mio amico sarei scioccato per un anno, loro si limitano a dirne il nome o a esclamare "sarà stato un fulmine?" vedendo uno scheletro carbonizzato.
SMILE: ridiamoci sopra.

( voto 2 )

7.4.10

Recensione: "Monsieur Verdoux"

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Premessa doverosa. Chi scrive è visceralmente chaplinista tanto da considerare Chaplin, senza appelli, il più grande uomo di cinema mai vissuto. Anche Monsieur Verdoux è uno straordinario film, forse un capolavoro, ma non posso metterlo sullo stesso piano degli Charlot. Il motivo è semplice e cercherò di spiegarlo.
Monsieur Verdoux è un uomo fallito, licenziato dalla sua banca. Si trova allora un'altra attività, sedurre vedove facoltose per poi ucciderle e intascare o rubare il malloppo.
Senz'altro le tematiche affrontate da Chaplin sono come al solito tante e forti: il fallimento, l'avidità, il capitalismo, l' omicidio, ma anche l'amore, la pietas, la tenerezza e la presa di coscienza. 

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Non si potrà (quasi) mai discutere sul valore morale ed umano dei film di Chaplin, straordinario accusatore della società in cui viveva, capace di usare il fioretto e quasi mai la spada. No, la mia predilezione per la serie del vagabondo è puramente tecnica, per essere precisi, sonora. Insomma, per me il Chaplin inarrivabile è il Chaplin muto. A mio parere la parola, il sonoro, la forza della voce, si è rivelata invece una debolezza. Nessuna scena del Verdoux, nessun discorso ha la forza dirompente, anzi, la Magia, delle migliori scene de La Febbre dell'oro e compagnia bella, anzi bellissima. Avete fatto caso che le due sequenze più riuscite (almeno secondo me) in Verdoux sono le uniche 2 mute (barca, vino avvelenato)? E non sembra anche a voi che il discorso di Hynkel ne il Dittatore (primo sonoro della voce di Chaplin) sia la parte più pesante e debole del film? Chaplin non ha bisogno di parlare, le sue accuse sono devastanti anche se non esplicitate in parole. Direi addirittura che con il verbo, rischia di essere retorico a volte, magari senza volerlo. Rimane inarrivabile e Verdoux una grandissima opera, anche se non è vero che sia una sceneggiatura perfetta (mi liquidi moglie e figlia con "li ho persi"?). Del resto quanto sia legato al Vagabondo lo dimostra il destino. Ci ha lasciato nel Natale del 1977, io festeggiavo il mio primo...

( voto 8 )

5.4.10

Recensione: "Les Choristes"

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Piccolo gioiello di un cinema, quello francese, capace di eccellere in questi ultimi 10 anni in tutti i generi, dalla commedia ( Veber, Giù al Nord e il recentissimo Nicolas) all'Horror (vera e propria nuova scuola), dall' azione-noir (36, L'Ultima missione) al drammatico.
Clement Mathieu è un musicista, ma viene assunto come sorvegliante in un severissimo istituto di rieducazione per bambini. Il cattivissimo direttore ha un solo credo, azione-reazione per il quale ogni piccolo errore o malefatta dei ragazzi deve essere severamente punita. Mathieu invece ha un altro credo, la musica, e tramite essa, con la creazione di un coro, vuole ridare speranza, felicità, vita ai piccoli "ospiti" dell'istituto.
Film misurato come pochi in cui niente è esagerato, nè la violenza nè l'amore, nè la condanna nè la retorica. Sono i bambini, le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze ad essere protagoniste, a ricordarci che mai, mai, un bambino può essere segregato o inibito nelle proprie passioni o potenzialità. E qui viene in soccorso la musica, l' altra grande protagonista del film. E' attraverso essa che i ragazzi "migliorano", una musica educatrice che li compatta, che li rende più responsabili, che fornisce un appoggio nel caotico mare delle loro pulsioni frustrate. Le regole ferree non servono, un bambino circondato da regole si comporterà sempre, appena ne avesse la minima possibilità, come una tigre uscita dalla gabbia. 

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La musica è il collante, la passione che li farà tornare vivi e, in un certo senso, "puri". Ed è sempre attraverso la musica che viene fuori lo straordinario personaggio di Morhange (eccezionale il giovane attore), ragazzo ribelle dalla voce meravigliosa, talento purissimo che rischiava di appassire tra le mura asfissianti dell'istituto.E lui diventa il simbolo di tutti, il simbolo della bellezza, della meraviglia, della dolcezza che OGNI bambino dovrebbe avere la possibilità di vivere e dimostrare. Il sorvegliante Mathieu non è un eroe, è solo una persona che conosce l'importanza dell'infanzia, e sa che quando questa viene corrotta o inibita rovina irrimediabilmente la vita futura.
Film che commuove e a volte diverte, ma sempre sotto le righe, con garbo, permeato fortemente da un'atmosfera neorealista per ambientazione, anni (siamo nel 1949), protagonisti e tematiche. E' ovvio il rimando del cuore allo "Zero in condotta" di Vigo. Forse non siamo di fronte a un capolavoro, ma ad uno di quei film "veri" che per un'ora e mezza, forse, ci rendono persone migliori.

( voto 8 )

4.4.10

Recensione: "Triage"


Triage è l'ultimo lavoro di Tanovic, il regista premio Oscar per No man's land. E' un film di guerra che più che concentrarsi sul conflitto ivuole analizzare gli effetti devastanti che può causare l'esserne stati testimoni. La storia narra la vicenda di due reporter di guerra nel Kurdistan del 1988. Uno vuole tornare a casa per la nascita del figlio, l'altro, al contrario, preferisce restare nel teatro di guerra in cerca di foto il più possibile importanti e drammatiche. Alla fine sarà il secondo a tornare, ferito a causa di un "incidente", ma forse le ferite più grandi non sono nel corpo, ma nell'animo...
C'è poco da fare, Triage non convince affatto. Il film ha il difetto di essere tremendamente senza ritmo, lento nel senso deleterio del termine, verboso, come fosse un'unica e interminabile seduta psicanalitica lunga un'ora e mezza (del resto nella seconda parte lo è letteralmente).Si badi bene, la lentezza di un film non è di per sè un difetto, tutt'altro, ma la mancanza di ritmo, lo stare fermo malgrado lo scorrere inesorabile dei minuti è una caratteristica difficilmente digeribile. 


Il protagonista, un bravo Colin Farrel, sa qualcosa che lo spettatore e tutti gli altri personaggi non sanno, ma il metodo, la lungaggine con cui la verità alla fine viene fuori, rischia di farlo diventare il segreto di Pulcinella. Non mancano immagini forti, scene buone (l'incidente dei 2 reporter su tutte), non mancano denunce, esplicite e non, a tutte le guerre e a tutti i regimi, ma non si arriva mai ad una "potenza" così forte, titpica dei capolavori, da smuovere le coscienze. E' una sceneggiatura facile, che punta tutto sui dialoghi e pochissimo sulla storia, sulle vicende; una sceneggiatura a tesi che vuole dimostrare quello che tutti sappiamo, l'orrore della guerra, l'orrore della morte.
E il riferimento al triage, cioè al sistema di smistamento negli ospedali delle zone di guerra, con il quale si decide chi può essere salvato e chi no (e giustiziato per questo) alla fine si rivela quasi estraneo al film, o almeno alla sua risoluzione, pur essendone il titolo...
Ovviamente non è un film da buttare, e chi ha visto poche pellicole sull'argomento può trovare anche spunti e riflessioni interessanti, ma senz'altro da Tanovic ci si aspettava di più.
Impressionante infine, e mi scuso se fosse stato già notato in precedenza, la somiglianza dello scheletro di sceneggiatura di Triage con quello di Brothers di Sheridan ( o meglio dell'originale della Bier). Due persone in guerra, una torna, l'altra no. Chi torna serba con sè un terribile segreto riguardante il compagno, segreto che lo tormenta e non ha la forza di raccontare alla moglie del ragazzo non tornato. Mentre in Triage però questo canovaccio è quello principale in Brothers, film di tutt'altro spessore, viaggia parallelo allo studio del conflitto, psicologico e non, dei due fratelli protagonisti.

( voto 5,5 )