31.10.09

Recensione: "Nel paese delle creature selvagge"


E' innegabile che un film per essere definito grande eccella in tutte le sue componenti, vale a dire l'attorialità, la tecnica, la storia (il susseguirsi delle vicende) e l'emozione suscitata. E' solo la debolezza, forte debolezza, di una di queste componenti che mi fa pensare a "Nel paese delle creature selvagge" come a un possibile grande film mancato.
Mi riferisco alla staticità della parte centrale, un pò troppo verbosa e priva di azioni rilevanti.
Ottima la prova del giovane attore, stupenda la fotografia, specialmente in 2,3 immagini controsole.
Andiamo per ordine però.
Un bambino di 9 anni vitalissimo e ribelle, reagisce a una discussione con la madre fuggendo di casa. Arriverà con una barca in un'isola lontana, popolata solo da un gruppetto di esseroni giganti, creature che, come lui, sembrano aver paura della solitudine. Lo faranno loro re, fino all'inevitabile addio.
La magia, lo sappiamo, non esiste. Solo una cosa, meravigliosamente umana, può essere assimilata alla magia, al riuscire a superare i limiti terreni: l'immaginazione. L' immaginazione è sinonimo di fantasia, etimologicamente LUCE, e non è un caso che più è forte più stiamo con gli occhi chiusi, al buio. Questo film è uno straordinario omaggio ai 2 più importanti tesori che nascondiamo nell' infanzia, l'immaginazione e il gioco, tesori che purtroppo tendiamo a farci scoprire e depredare con il passare degli anni.



Max è un bambino ribelle, Max ha paura che piano piano la madre, la sorella, le persone che più gli stanno a cuore, si dimentichino di lui, non lo ascoltino, lo lascino in disparte. Ed è così che immagina un meraviglioso regno, dove suoi multipli alter ego (Carol il ribelle e la capretta che nessuno ascolta su tutti) vivono le emozioni che lui prova nella sua vita reale: l'amore, il gioco, la solitudine, il senso di esclusione, la rabbia. E' solo il confronto con Carol, il capire che a volte la ribellione è insensata, che basterebbe soltanto accorgersi del bene che si ha intorno (il cuore di rametti), a farlo tornare indietro, e guardare sua madre addormentarsi con un senso d'amore mai provato prima.
Ma come detto questo film è anche un omaggio al gioco, nel senso più bello e naturale che esista, al rotolarsi per terra, al cercare dapertutto buchi in cui infilarsi, al correre senza meta, al saltare, al gridare, al fare la lotta come si fa tra fratelli sopra il letto, al farsi male di felicità. Questa è un'altra delle magie dell' infanzia, o almeno di un'infanzia che fu, essere felici con niente. Chi, come me, non si vergogna di provare emozione in questo modo, chi , come me, nella parola infantile non vede un'offesa ma un complimento involontario, chi crede nel potere della fantasia, ricorderà per sempre questo film, e capirà una volta di più, se mai ce ne doveva essere bisogno, che esser bambini è il più bel regalo che Dio ci ha dato e chi se lo rovina, o chi se l'è visto rovinare, non sarà mai più felice come avrebbe potuto.

( voto 7 )

15.10.09

Recensione: "Up"

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Da sempre i cartoni ci fanno sognare. Chiunque di noi conserva tra i ricordi più indelebili spezzoni, se non interi film, di quella meravigliosa arte che è l'animazione, che sia disegno o computer grafica. E sono sempre più i film che rischiano, che puntano all'originalità. Se WALL-E, a mio parere il più bel cartone degli ultimi anni, si è preso il rischio del (quasi) muto, UP ha "osato" mettere come protagonista un vecchio. Il risultato è straordinario; non so se lo sia per i bambini (solo il tempo ce lo dirà) ma lo è senz'altro per il Cinema.
Un bambino, appassionato d'avventura, conosce un'altra bambina con la sua stessa passione. Si sposeranno e passeranno tutta la vita assieme, fino alla morte di lei. Un sogno comune è rimasto però irrealizzato, portare la loro casetta in cima alle Cascate Paradiso, in Sudamerica. Il vecchio, per tutta la vita venditore di palloncini, deve essere sfrattato. Al che prende 2 piccioni con una fava. Attacca tutti i suoi palloncini alla casa e vola con lei come fossa una mongolfiera (scena memorabile). Così salva la casa e in più prende una direzione, quella delle Cascate Paradiso... . L' unico inconveniente è che si ritrova con un piccolo e grasso boy scout che nel momento in cui la casa è "volata" via si trovava proprio sotto il portico.
E' molto difficile saper far ridere della malinconia. Nessuno in questo ha mai raggiunto i livelli di Charlie Chaplin. 


Up, e mi è molto difficile spiegare come e perchè, mi ha riportato alla magia di Charlot, a quella magnifica sensazione del ridere con gli occhi lucidi. L'accostamento è quasi esplicito nelle bellissime mini scenette che ci raccontano in 2 minuti, dall'infanzia alla vecchiaia, la vita passata insieme dalla coppia. Sentite la musica, gustatene l'atmosfera, respirate la "chaplinità" del tutto. 
UP affronta almeno 2 temi quasi del tutto tabù nell'animazione per famiglia: la già citata vecchiaia e una delle sue dirette conseguenze, la morte. Attenzione, non la sfiora marginalmente come altri cartoni ma la prende di petto e ne fa il motore dell' intero film. E' solo nel ricordo della moglie scomparsa che il protagonista affronta il suo incredibile viaggio e così, allo stesso modo, qualsiasi altra scelta successiva. UP non è un cartone d'avventura, è ANCHE un cartone d'avventura. Tutta la parte centrale del film lo è senz'altro ed è questa che i bambini apprezzeranno di più. Cani parlanti, uccelli giganti, inseguimenti, disavventure del piccolo protagonista, luoghi impervi, lotte col nemico (che, genialata di sceneggiatura, non è altro che l'avventuriero idolo d'infanzia del vecchio), sparatorie nel cielo, di tutto di più. Ma non è lì il segreto del film. 
Segreto che è invece nascosto nelle pagine di un vecchio album nel quale, sin da ragazzina, la compagna del protagonista aveva raccontato fotograficamente la propria vita e lasciato su pagine bianche, in attesa di foto, i progetti futuri, anzi IL progetto futuro, la casa in cima alle cascate. Ed è qui che scopriremo che l'avventura più bella non è un viaggio esotico, non è qualcosa lontano 1000 km. L'avventura più bella è dentro di noi, nel nostro cuore. L' avventura più bella è la nostra vita, l'avventura più bella è l' amore.


( voto 8,5 )

8.10.09

Recensione: "Martyrs"

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C'è chi ha paragonato Martyrs ad altre pellicole dove la tortura, le sevizie, il possesso del dominante sulla vittima la fanno da padroni, come la serie di Saw o quella di Hostel. Il paragone non è campato in aria ed è l'unico modo per far capire ad altre persone, in 30 sec o in 2 righe, di che genere stiamo parlando. Ma se, come in questo caso, abbiamo lo spazio e il tempo per aggiungere qualcosa si ha il dovere di far capire che Martyrs rispetto ai sopracitati film è molto di più. E' vero, anche qui assistiamo a una gamma incredibile di nefandezze, atrocità, pratiche disumane, ma mentre negli altri film queste cose ci disturbavano in Martyrs ci turbano. Qui non c'è il filtro cinema, non assistiamo distaccati alle vicende sullo schermo sapendo che è solo pura finzione. In Martyrs tutto sembra maledettamente possibile, vero, disumanamente umano. E' un film che oltre che disgustarci come tutti gli altri non ci fa respirare, ci getta in un incubo reale, in un "e se fosse vero?". E' un film che lascia ferite profonde nell'animo tanto quelle sulla pelle delle protagoniste. Grandi protagoniste, in un film dove i visi, i primi piani, tutta la gamma di emozioni possibili devono essere rese alla perfezione per reggere il peso fisico, filosofico e mistico del film.
La trama: una bambina scappa da un luogo di tortura. 

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15 anni dopo ritrova-insieme ad una amica- i suoi aguzzini e li fa fuori a fucilate. Ma ci sono nuovi aguzzini che troveranno lei...
Il film è come una matrioska aperta la quale ce n'è un'altra, più piccola ma ancora più aberrante. Sono almeno 3 infatti i punti in cui il film prende quasi completamente una nuova strada, apre un nuovo scenario. Uno di questi punti di svolta era stato già usato dal regista, Laugier, nel suo precedente film (Saint Ange), e cioè quello del "terribile piano di sotto", in cui in una stessa unità di luogo (qui una casa) si scopre un nuovo terribile spazio.
Il titolo, Martyrs, non è solo gusto per la bella parola ma significato base del film, significato che qui non posso svelare. 
E' soprattutto in quella parola però, in questo mistero, che sta quel quid che fa di questo film un qualcosa di più, e di nuovo, rispetto al passato. E' qui che tutto ciò che dicevo prima sulla Verità del film trova il suo macabro appiglio. Ed è qui che avviene l'assoluta magia della pellicola, quel paradosso assurdo che me lo fa piacere così tanto: Martyrs è un film senza la minima speranza che ha nella Speranza, quella massima, la sua finale sentenza.



( voto 8 )

2.10.09

Recensione: "Drag me to hell"


Mi mancava. Sam Raimi mi mancava proprio. Ho 32 anni, sono della generazione che ha visto (più volte) nella sua ultima infanzia e prima adolescenza cult come La Casa, La Casa 2 e l'Armata delle tenebre, ovvero tutti film che mi costringevano ad andare a dormire in camera dei miei (specie i primi 2) malgrado durante la visione mi trovassi più di una volta a morire, verbo non preso a caso, dalle risate (soprattutto il 3°). Drag me to hell è tutto questo, è un grande tuffo nel passato, è Raimi che dopo 20 anni rifà Raimi. Si rinnova e copia sè stesso, il tutto con un grande stile, con una padronanza del genere degna di pochi, con il suo marchio inconfondibile.

La trama. Una ragazza per "far carriera" rifiuta ad una vecchia zingara la proroga per il pagamento del mutuo. Riceve in cambio una maledizione, un malocchio: un demone la tormenterà per 3 giorni, passati i quali la porterà con sè all'inferno (da titolo). Per salvarsi, ricorrerà al potere di 2 sensitivi e all' amore del suo ragazzo. Finale a sorpresa.


Ai suoi fan, come me, per capire che è un film di Raimi bastano 2 minuti, ovvero l'arrivo del demone nel prologo, praticamente identico (l'arrivo) a quello ne La Casa. Urla, vento, invisibilità del mostro, sberle e lotte . E' 20 anni che aspettavo, sono tornato undicenne di colpo. E poi decine di altri rimandi, oggetti che lottano contro gli uomini ( necronomicon-ventaglio) , animali che parlano ( teste-trofeo allora, una capra oggi), lotte a forza di cazzotti tra demoni e umani, rumori identici, musiche identiche, scene grottescamente schifose e altre assurdamente comiche (come il ballo del demone, anch'esso già visto), movimenti velocissimi della macchina da presa e tanto altro. Ripeto, mi sembrava di rivedere La Casa in una trama e ambientazione completamente diversa. Questi sono i plagi che fanno bene al cinema, quelli fatti da uno stesso regista a sè stesso ( e decenni dopo), quelli che ti fanno tornare indietro, a un cinema che non c'è più, o che nessun altro è in grado di fare. Ma c'è anche qualcosa di nuovo: uno scavo psicologico maggiore, una capacità di descrivere sentimenti, la geniale idea che sconvolgerà il finale. Insomma, è il regista che conoscevamo ed amavamo, con 20 anni di più ed, inevitabilmente, più maturità. Un grande Horror (comic) che farà molta paura a chi non segue il genere, che spaventerà con qualche sorriso chi lo segue un pò, e che farà ridere di gusto a chi ormai come me (sigh) ne ha visti troppi.



( voto 7.5)