26.12.09

Recensione: "Brothers"


Prima di addentrarci nell'analisi di questo ottimo, forse grande film, è giusto anticipare 2 cosette. Brothers è remake (praticamente dichiarato sin dai titoli di testa) del film Brodre, di Susanne Bier, tradotto criminalmente in italiano con "Non desiderare la donna d'altri".
Seconda cosa da sapere è che il regista di Brothers è Jim Sheridan, cioè l'autore di (almeno) 2 capolavori, lo struggente "Il mio piede sinistro" e l'altrettanto umanamente fortissimo "Nel nome del padre", entrambi interpretati da un immenso Daniel Day Lewis.
Sam è il ragazzo modello americano, marine dai ferrei principi con una famiglia, composta da sua moglie Grace e da 2 bimbe, felice e in perfetta armonia. Tommy, suo fratello, è la classica pecora nera, nessun lavoro e un'esperienza in carcere. Sam parte per l'Afghanistan. In una missione il suo elicottero è abbattuto. Grace viene a sapere della morte del marito, è disperata. Tommy, che era molto legato al fratello (particolare importantissimo) le si avvicina per aiutarla e consolarla.



Ma Sam non è morto, è stato "solo" in prigionia dove si è macchiato di un gesto orrendo; torna completamente scosso e nota un feeling troppo forte tra la moglie e il fratello. La gelosia e il ricordo di quello che ha dovuto passare, e soprattutto FARE in Afghanistan, lo tormentano fino a fargli perdere quasi completamente la testa...
Sarebbe bello chiedere a chi ha visto questo film :" Brothers è un film sull'odio?". Sembra scontato. Odio politico-razzial-religioso (usa-afghanistan) odio paterno (Tommy verso suo padre ma anche le figlie di Sam quando il padre torna cambiato dalla prigionia) odio fraterno, odio verso se stessi (Sam per il terribile atto che ha commesso) odio matrimoniale. L' atmosfera del film è densissima, la tensione sempre sul filo del rasoio. Però però però, io a quella domanda di cui sopra risponderei " no, al contrario, Brothers è un film sull'amore". E' l' amore il sentimento più forte, quello che malgrado tutto riesce a vincere. L'amore, perfettamente contraccambiato, di Sam per la sua famiglia, l'amore tra i 2 fratelli, l'amore, se vogliamo, di Sam per il suo lavoro e la sua patria.
Brothers è un film che insegna che nella vita succedono cose orribili, che ci ricorda che tutti sbagliamo, che tutti perdiamo la testa, che la nostra esistenza è costellata da tragedie, traumi, incomprensioni, tensioni, errori, pericoli, debolezze, ma alla fine, e questo è l'insegnamento più grande, se l' uomo ama, altre persone o la vita stessa, riesce a perdonare, a capire, a superare ogni problema. Non è un film "americano" , non ci chiede la lacrima, non ci vuole stupire, Brothers è un dramma raccontato magnificamente soltanto per quello che è, senza fronzoli o forzature. Anche questo mi ricorda molto Eastwood e non posso fare complimento più grande. L' interpretazione dei 3 attori principali, Maguire, Gyllenhal e la Portman è a dir poco perfetta; secondo me ,a livello puramente recitativo, Brothers rappresenta il punto più alto nella giovane carriera di ognuno di loro.

( voto 8 )

30.11.09

Recensione: "Uomini che odiano le donne"


Mi è molto difficile commentare la trasposizione cinematografica di un libro che, insieme a milioni di altre persone, ho amato così tanto. Nel mettere il voto, componente più visibile ma meno importante di una recensione, ho cercato di "uscire" da me stesso e vedere il film come lo vedrebbe oggettivamente chi del libro ha sentito parlarne a malapena. Questo perchè, non si può negarlo, sono tanti i tradimenti, piccoli o grandi, al testo originario e servirebbe molto spazio ad elencarli.
Gran thriller, niente da dire. La storia è talmente bella, importante, strutturata, originale, complessa che nelle mani di un regista che non pensi a se stesso, ma semplicemente al film, era quasi impossibile da rovinare. Larsson è scrittore a mio parere molto freddo, quasi come il suo straordinario personaggio principale, Lisbeth Salander. E' difficile rintracciare in lui (loro) delle forti emozioni, la bellezza della vita, i rapporti con l'altro, l' amore, è difficile quando si è consapevoli, come Larsson, come la Salander, che noi tutti viviamo in un mondo che a volte può essere abietto, schifoso, un mondo dove sotto giacche e cravatte si nascondono mostri della peggio specie. 



Questo ricercano i libri di Larsson, tutto questo cerca di smascherare e combattere Lisbeth. Nell' intreccio perfetto dell' opera, nel riannodare i fili della dinastia Vanger, nell'alternarsi nel film di due generi principe come il giallo e il nero, anzi nerissimo, in tutto questo valzer di cose, fatti, azioni, non dobbiamo perderci o restare superficialmente compiaciuti ma entrare dentro, analizzare e vedere qual è, alla fine, il messaggio più profondo ,neanche troppo nascosto poi.
E, purtroppo, potremmo scoprire che, come cerca di dimostrarci il sommo Eastwood, a volte viviamo in un mondo dove la Speranza non è l'ultima a morire, ma è stata l'ultima a morire, dove non ci sarà un ritorno, dove abbiamo la consapevolezza che il Male non morirà mai, se non miseramente insieme all' Uomo stesso.

( voto 7)

31.10.09

Recensione: "Nel paese delle creature selvagge"


E' innegabile che un film per essere definito grande eccella in tutte le sue componenti, vale a dire l'attorialità, la tecnica, la storia (il susseguirsi delle vicende) e l'emozione suscitata. E' solo la debolezza, forte debolezza, di una di queste componenti che mi fa pensare a "Nel paese delle creature selvagge" come a un possibile grande film mancato.
Mi riferisco alla staticità della parte centrale, un pò troppo verbosa e priva di azioni rilevanti.
Ottima la prova del giovane attore, stupenda la fotografia, specialmente in 2,3 immagini controsole.
Andiamo per ordine però.
Un bambino di 9 anni vitalissimo e ribelle, reagisce a una discussione con la madre fuggendo di casa. Arriverà con una barca in un'isola lontana, popolata solo da un gruppetto di esseroni giganti, creature che, come lui, sembrano aver paura della solitudine. Lo faranno loro re, fino all'inevitabile addio.
La magia, lo sappiamo, non esiste. Solo una cosa, meravigliosamente umana, può essere assimilata alla magia, al riuscire a superare i limiti terreni: l'immaginazione. L' immaginazione è sinonimo di fantasia, etimologicamente LUCE, e non è un caso che più è forte più stiamo con gli occhi chiusi, al buio. Questo film è uno straordinario omaggio ai 2 più importanti tesori che nascondiamo nell' infanzia, l'immaginazione e il gioco, tesori che purtroppo tendiamo a farci scoprire e depredare con il passare degli anni.



Max è un bambino ribelle, Max ha paura che piano piano la madre, la sorella, le persone che più gli stanno a cuore, si dimentichino di lui, non lo ascoltino, lo lascino in disparte. Ed è così che immagina un meraviglioso regno, dove suoi multipli alter ego (Carol il ribelle e la capretta che nessuno ascolta su tutti) vivono le emozioni che lui prova nella sua vita reale: l'amore, il gioco, la solitudine, il senso di esclusione, la rabbia. E' solo il confronto con Carol, il capire che a volte la ribellione è insensata, che basterebbe soltanto accorgersi del bene che si ha intorno (il cuore di rametti), a farlo tornare indietro, e guardare sua madre addormentarsi con un senso d'amore mai provato prima.
Ma come detto questo film è anche un omaggio al gioco, nel senso più bello e naturale che esista, al rotolarsi per terra, al cercare dapertutto buchi in cui infilarsi, al correre senza meta, al saltare, al gridare, al fare la lotta come si fa tra fratelli sopra il letto, al farsi male di felicità. Questa è un'altra delle magie dell' infanzia, o almeno di un'infanzia che fu, essere felici con niente. Chi, come me, non si vergogna di provare emozione in questo modo, chi , come me, nella parola infantile non vede un'offesa ma un complimento involontario, chi crede nel potere della fantasia, ricorderà per sempre questo film, e capirà una volta di più, se mai ce ne doveva essere bisogno, che esser bambini è il più bel regalo che Dio ci ha dato e chi se lo rovina, o chi se l'è visto rovinare, non sarà mai più felice come avrebbe potuto.

( voto 7 )

15.10.09

Recensione: "Up"

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Da sempre i cartoni ci fanno sognare. Chiunque di noi conserva tra i ricordi più indelebili spezzoni, se non interi film, di quella meravigliosa arte che è l'animazione, che sia disegno o computer grafica. E sono sempre più i film che rischiano, che puntano all'originalità. Se WALL-E, a mio parere il più bel cartone degli ultimi anni, si è preso il rischio del (quasi) muto, UP ha "osato" mettere come protagonista un vecchio. Il risultato è straordinario; non so se lo sia per i bambini (solo il tempo ce lo dirà) ma lo è senz'altro per il Cinema.
Un bambino, appassionato d'avventura, conosce un'altra bambina con la sua stessa passione. Si sposeranno e passeranno tutta la vita assieme, fino alla morte di lei. Un sogno comune è rimasto però irrealizzato, portare la loro casetta in cima alle Cascate Paradiso, in Sudamerica. Il vecchio, per tutta la vita venditore di palloncini, deve essere sfrattato. Al che prende 2 piccioni con una fava. Attacca tutti i suoi palloncini alla casa e vola con lei come fossa una mongolfiera (scena memorabile). Così salva la casa e in più prende una direzione, quella delle Cascate Paradiso... . L' unico inconveniente è che si ritrova con un piccolo e grasso boy scout che nel momento in cui la casa è "volata" via si trovava proprio sotto il portico.
E' molto difficile saper far ridere della malinconia. Nessuno in questo ha mai raggiunto i livelli di Charlie Chaplin. 


Up, e mi è molto difficile spiegare come e perchè, mi ha riportato alla magia di Charlot, a quella magnifica sensazione del ridere con gli occhi lucidi. L'accostamento è quasi esplicito nelle bellissime mini scenette che ci raccontano in 2 minuti, dall'infanzia alla vecchiaia, la vita passata insieme dalla coppia. Sentite la musica, gustatene l'atmosfera, respirate la "chaplinità" del tutto. 
UP affronta almeno 2 temi quasi del tutto tabù nell'animazione per famiglia: la già citata vecchiaia e una delle sue dirette conseguenze, la morte. Attenzione, non la sfiora marginalmente come altri cartoni ma la prende di petto e ne fa il motore dell' intero film. E' solo nel ricordo della moglie scomparsa che il protagonista affronta il suo incredibile viaggio e così, allo stesso modo, qualsiasi altra scelta successiva. UP non è un cartone d'avventura, è ANCHE un cartone d'avventura. Tutta la parte centrale del film lo è senz'altro ed è questa che i bambini apprezzeranno di più. Cani parlanti, uccelli giganti, inseguimenti, disavventure del piccolo protagonista, luoghi impervi, lotte col nemico (che, genialata di sceneggiatura, non è altro che l'avventuriero idolo d'infanzia del vecchio), sparatorie nel cielo, di tutto di più. Ma non è lì il segreto del film. 
Segreto che è invece nascosto nelle pagine di un vecchio album nel quale, sin da ragazzina, la compagna del protagonista aveva raccontato fotograficamente la propria vita e lasciato su pagine bianche, in attesa di foto, i progetti futuri, anzi IL progetto futuro, la casa in cima alle cascate. Ed è qui che scopriremo che l'avventura più bella non è un viaggio esotico, non è qualcosa lontano 1000 km. L'avventura più bella è dentro di noi, nel nostro cuore. L' avventura più bella è la nostra vita, l'avventura più bella è l' amore.


( voto 8,5 )

8.10.09

Recensione: "Martyrs"

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C'è chi ha paragonato Martyrs ad altre pellicole dove la tortura, le sevizie, il possesso del dominante sulla vittima la fanno da padroni, come la serie di Saw o quella di Hostel. Il paragone non è campato in aria ed è l'unico modo per far capire ad altre persone, in 30 sec o in 2 righe, di che genere stiamo parlando. Ma se, come in questo caso, abbiamo lo spazio e il tempo per aggiungere qualcosa si ha il dovere di far capire che Martyrs rispetto ai sopracitati film è molto di più. E' vero, anche qui assistiamo a una gamma incredibile di nefandezze, atrocità, pratiche disumane, ma mentre negli altri film queste cose ci disturbavano in Martyrs ci turbano. Qui non c'è il filtro cinema, non assistiamo distaccati alle vicende sullo schermo sapendo che è solo pura finzione. In Martyrs tutto sembra maledettamente possibile, vero, disumanamente umano. E' un film che oltre che disgustarci come tutti gli altri non ci fa respirare, ci getta in un incubo reale, in un "e se fosse vero?". E' un film che lascia ferite profonde nell'animo tanto quelle sulla pelle delle protagoniste. Grandi protagoniste, in un film dove i visi, i primi piani, tutta la gamma di emozioni possibili devono essere rese alla perfezione per reggere il peso fisico, filosofico e mistico del film.
La trama: una bambina scappa da un luogo di tortura. 

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15 anni dopo ritrova-insieme ad una amica- i suoi aguzzini e li fa fuori a fucilate. Ma ci sono nuovi aguzzini che troveranno lei...
Il film è come una matrioska aperta la quale ce n'è un'altra, più piccola ma ancora più aberrante. Sono almeno 3 infatti i punti in cui il film prende quasi completamente una nuova strada, apre un nuovo scenario. Uno di questi punti di svolta era stato già usato dal regista, Laugier, nel suo precedente film (Saint Ange), e cioè quello del "terribile piano di sotto", in cui in una stessa unità di luogo (qui una casa) si scopre un nuovo terribile spazio.
Il titolo, Martyrs, non è solo gusto per la bella parola ma significato base del film, significato che qui non posso svelare. 
E' soprattutto in quella parola però, in questo mistero, che sta quel quid che fa di questo film un qualcosa di più, e di nuovo, rispetto al passato. E' qui che tutto ciò che dicevo prima sulla Verità del film trova il suo macabro appiglio. Ed è qui che avviene l'assoluta magia della pellicola, quel paradosso assurdo che me lo fa piacere così tanto: Martyrs è un film senza la minima speranza che ha nella Speranza, quella massima, la sua finale sentenza.



( voto 8 )

2.10.09

Recensione: "Drag me to hell"


Mi mancava. Sam Raimi mi mancava proprio. Ho 32 anni, sono della generazione che ha visto (più volte) nella sua ultima infanzia e prima adolescenza cult come La Casa, La Casa 2 e l'Armata delle tenebre, ovvero tutti film che mi costringevano ad andare a dormire in camera dei miei (specie i primi 2) malgrado durante la visione mi trovassi più di una volta a morire, verbo non preso a caso, dalle risate (soprattutto il 3°). Drag me to hell è tutto questo, è un grande tuffo nel passato, è Raimi che dopo 20 anni rifà Raimi. Si rinnova e copia sè stesso, il tutto con un grande stile, con una padronanza del genere degna di pochi, con il suo marchio inconfondibile.

La trama. Una ragazza per "far carriera" rifiuta ad una vecchia zingara la proroga per il pagamento del mutuo. Riceve in cambio una maledizione, un malocchio: un demone la tormenterà per 3 giorni, passati i quali la porterà con sè all'inferno (da titolo). Per salvarsi, ricorrerà al potere di 2 sensitivi e all' amore del suo ragazzo. Finale a sorpresa.


Ai suoi fan, come me, per capire che è un film di Raimi bastano 2 minuti, ovvero l'arrivo del demone nel prologo, praticamente identico (l'arrivo) a quello ne La Casa. Urla, vento, invisibilità del mostro, sberle e lotte . E' 20 anni che aspettavo, sono tornato undicenne di colpo. E poi decine di altri rimandi, oggetti che lottano contro gli uomini ( necronomicon-ventaglio) , animali che parlano ( teste-trofeo allora, una capra oggi), lotte a forza di cazzotti tra demoni e umani, rumori identici, musiche identiche, scene grottescamente schifose e altre assurdamente comiche (come il ballo del demone, anch'esso già visto), movimenti velocissimi della macchina da presa e tanto altro. Ripeto, mi sembrava di rivedere La Casa in una trama e ambientazione completamente diversa. Questi sono i plagi che fanno bene al cinema, quelli fatti da uno stesso regista a sè stesso ( e decenni dopo), quelli che ti fanno tornare indietro, a un cinema che non c'è più, o che nessun altro è in grado di fare. Ma c'è anche qualcosa di nuovo: uno scavo psicologico maggiore, una capacità di descrivere sentimenti, la geniale idea che sconvolgerà il finale. Insomma, è il regista che conoscevamo ed amavamo, con 20 anni di più ed, inevitabilmente, più maturità. Un grande Horror (comic) che farà molta paura a chi non segue il genere, che spaventerà con qualche sorriso chi lo segue un pò, e che farà ridere di gusto a chi ormai come me (sigh) ne ha visti troppi.



( voto 7.5)

26.9.09

Recensione: "District 9"


Vi giuro che dopo la visione ero già molto soddisfatto, ma il fatto di recensirlo il giorno dopo (e non immediatamente come faccio quasi sempre) mi ha senz'altro fatto alzare il voto. Questo perchè più ci penso, più credo che siamo di fronte ad una grandissima opera, quasi unica nel suo genere.
Al solito, prima la storia. A metà anni 80 una navicella aliena è atterrata a Johannesburg. Non può ripartire a causa di un guasto. A quel punto più di un milione di alieni (chiamati gamberoni per la loro forma), è costretta a restare "da noi". Non "con noi" però dato che vengono ghettizzati in un'area chiusa, il distretto 9 del titolo.Passano 20 anni. Quando un umano si infetta e inizia a mutarsi in uno di loro è costretto, per non essere usato come cavia, a rifugiarsi proprio nel ghetto...

Non basterebbero 200 righe a recensire in maniera soddisfacente questo film. Sono troppi i riferimenti politici , etici, culturali che stanno sotto l'evidenza delle immagini. Il Sudafrica dell'apartheid nella quale i nuovi "negri" sono gli alieni, i politici (non a caso tutti bianchi) che li usano come cavie. L' umanità, nel senso qualitativo del termine, che come spesso accade è rintracciabile solo nei poveri, in chi ormai non ha niente da perdere. L' esercito come macchina per uccidere, senza pietà. La stampa al servizio del potere che mistifica tutto. In District 9, l'Uomo, senza appelli, è condannato. Cinico, nazista (di razza superiore), incapace di emozioni, falso, opportunista. Sono gli Alieni, queste orrende creature ad essere alla fine i veri uomini, esseri viventi in cui la solidarietà, l'amicizia, la famiglia, l' umiltà, i sentimenti (indimenticabili gli occhi gonfi di pianto di Christopher, il protagonista alieno), il senso di patria, i sogni e la speranza sono virtù ancora rintracciabili. Questa è la forza del film, il suo messaggio dirompente.

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A livello filmico è comunque una grande opera sia originalità di trama, per gli effetti speciali (alieni, armi, uccisioni), per l'atmosfera, per la grandissima interpretazione del protagonista, Sharlto Copley (non professionista!). Film che come poche volte mi è capitato ultimamente è un piacere per gli occhi, per la testa e per il cuore. Credo che negli anni ne sentiremo parlare c'è il rischio che possa diventare un punto di riferimento (e di confronto) con il cinema che sarà.

P.S Non ho dato un voto più alto a causa di quelli che considero 2 errori marchiani. Il primo è che non ci viene detto assolutamente come facciamo noi umani a capire la loro lingua. Può esser voluto, ma non lo condivido.
Il 2°, più grave, è che si parla di 1 milione e 600.000 alieni nel ghetto, una cifra già assurda di suo (saranno 400 casupole) ma che lo diventa ancora di più quando in moltissime inquadrature (anche campi lunghi) e in quasi tutte le scene non vediamo mai più di 3,4 alieni per volta. Con quella cifra non dovremmo vederne almeno centinaia?
Da come finisce ci aspetta un seguito (District 10?). Non vedo l'ora...

( voto 8,5)

17.8.09

Recensione: "Ghost in the Shell"



Quello del cartone d' autore, è un vero e proprio campo minato, specie quello giapponese.Perchè ? Per il fatto che ha così tanti appassionati ed "esperti" che quando qualcuno fuori da questa cerchia si avventura in commenti o recensioni rischia come minimo di farsi dare dell' incompetente. Mettiamo dunque le cose in chiaro: io non conosco il manga di Ghost in the shell e di conseguenza nè le vicende nè le tematiche e il modo in cui sono state affrontate nel fumetto. Io ho visto il film. Ebbene, siccome mi era stato presentato come una delle massime opere d'animazione di sempre, non posso dire di aver avuto questa sensazione. Il livello del disegno è massimo; la tratteggiatura, il carattere dei personaggi principali molto forte, i temi affrontati (c'è anima, spirito, ghost nella robotica?) attuali e non banali ma... il film è di una difficoltà eccessiva, con una trama, almeno per me, molto confusa in cui si mischiano troppi funzionari, troppe associazioni, discorsi troppo tecnici o intellettuali, troppe "informazioni" di cui 5 secondi dopo non ricordi nulla. 

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Il film, forse volutamente, è molto freddo, quasi privo di sentimenti; rifacendosi al titolo, possiamo dire che è come se all' interno del suo guscio, della sua corazza, ha un'anima troppo debole, algida, incapace di emozionare. Eccessivi inoltre mi sono sembrati gli indugi sulla nudità della protagonista, il cyborg con anima umana Kusanagi, ma si sa, questa è una vera fissazione dei Jap. Ho quasi la certezza che tutti questi piccoli difetti siano dovuti, come ho spiegato all'inizio, alla mia non conoscenza di tutto quello che precede il film. Rimane un' opera visionaria di ottimo livello, una pellicola che per ambientazioni, personaggi, tematiche ha tutto per essere diventato quello che è diventato: un cult assoluto. 



( voto 7 )

13.8.09

Recensione: "The Signal" (2007)


Questa recensione viene casualmente dopo quella del Mai Nato, niente di meglio per mettere a confronto questi 2 film. The Signal è il classico esempio di come si possa fare un buon film di genere con pochissimi mezzi e qualche idea; Il Mai Nato, all'opposto, dimostra come sprecare milioni di dollari per voler mettere troppa "roba" all'interno.
Mentre è impossibile definire la trama di quest'ultimo, ci vogliono 2 righe per trattegiare quella di The Signal. In una città chiamata Terminus inizia a sprigionarsi attraverso la tecnologia (tv, cellulari, radio) un segnale che se visto o udito, a seconda dei casi, troppo a lungo, induce le persone ad uccidere. Punto e basta. La cosa straordinaria, e secondo me punto di merito del film, è che, come nei migliori libri dell' immenso Saramago, ci troviamo fin dall' inizio in una situazione assurda di cui non sappiamo il perchè, nè lo sapremo poi, ma il tutto ci sembra quasi naturale, non forzato. Chi ha oltre 30 anni come me, e ama questo genere, non può non vedere in The Signal un richiamo al magnifico film Videodrome: il segnale televisivo che porta alla pazzia. Oppure di un altro capolavoro come Il seme della follia dove erano invece i libri a scatenare la violenza omicida. Attenzione, non parliamo di plagi alla Mai Nato, ma di semplici richiami.

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Questo film è stato girato in 3 parti chiaramente distinte da 3 registi differenti. Mentre il segmento iniziale e quello finale sono accomunabili, quello centrale si discosta in maniera drastica dagli altri 2. Sembra infatti un vero e proprio teatro dell' assurdo dove in una sola unità di luogo (una villetta) avvengono omicidi accompagnati da battute, comportamenti quasi irreali, continui scambi di persone, un continuo alternarsi tra comico, grottesco e splatter. E se è vero che è proprio grazie a questa sezione che il film potrebbe diventare un cult, è anche vero allo stesso tempo che mi sembra troppo slegata e "diversa" dal resto del film facendogli perdere del tutto omogeneità. Altro errorone errorino per dirla alla Ned Flanders, è il fatto che se un'intera città diventa soltanto divisa tra killer e vittime, com'è possibile che vediamo poche decine di corpi e solo 3,4 assassini? Dove sono finite le altre migliaia di persone?Rimane comunque un film godibile dai fan, non scontato, con più di una scena memorabile e un'atmosfera surreale e allucinata niente male.

( voto 6,5 )

29.7.09

Recensione: "IL Mai Nato"


L'horror è un genere che amo moltissimo ma è più una questione di quantità, nel senso che cerco di vederli tutti, che di qualità dato che ne salvo, se va bene, 2 su 10.
Il Mai Nato è un concentrato di tutti i pregi (pochi) e difetti (parecchi di più) dell' horror contemporaneo. Rimane comunque vedibile e sopra la media generale del genere (che si attesta sul 4,5).
Tra i pregi c'è senz'altro l' atmosfera, almeno per gran parte del film, e alcune immagini sono senz'altro potenti e suggestive (vedi l cane iniziale). Insomma, chi non ha il callo degli horror ha più di una scena per farsela sotto... . Inoltre veramente bellissima la protagonista, Odette Yustman che, cosa ancor più importante, ci dà l'idea di saper anche recitare. Che il film basi molto su di lei e sul suo fisico ce lo suggerisce la locandina stessa...

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I difetti, come detto, sono quelli del 90% delle pellicole del genere. Trama assurda con,a parer mio, buchi di sceneggiatura molto frequenti ( il comportamento del demone cambia ogni volta, il mai nato del titolo alla fine non c'entra nulla dato che l'entità è nata da un bambino morto e non da un non nato, la faccenda degli occhi che cambiano colore spiegata malissimo e non conclusa ecc...); comportamento dei protagonisti contro ogni logica; situazioni al limite del grottesco come quando lei ,tra tutte le pagine del manoscritto sparpagliate per terra, trova vicino a sè l'unica che le servisse; finale lungo e deludente, con la scena dell' esorcismo che va avanti 20 minuti malgrado sia la più debole del film; sottofinale ancora peggio (che ci frega se aspetta 2 gemelli se tanto ha sconfitto il demone? ); scopiazzature evidentissime e quasi da plagio come la videocassetta alla The Ring, la camminata con testa girata de L'Esorcista, il bambino identico a The Omen, il problema agli occhi e relativi fantasmi di The Eye e in genere del cinema orientale, gli specchi e la loro distruzione di Riflessi di paura (a sua volta remake di un giapponese) e mi fermo qui.
Un disastro? No, anzi, da vedere per chi ama il genere.

( voto 5)

22.7.09

Recensione: "Franklyn"


Non legga chi ha intenzione di vederlo. Recensione molto molto difficile. Allora, quello che è sicuro è che il regista(anche sceneggiatore del film) dimostra alla sua opera prima tecnica, talento e visionarietà. La darkissima Città di Mezzo del film (una sorta di realtà parallela di Londra) è esteticamente notevole e il senso dell'inquadratura molto forte. Il film però cos'è? La trama è impossibile da spiegare in poche righe se non limitandosi a dire che segue le vicende di 4 personaggi, 3 nella Londra normale e 1 nella Città di Mezzo, che in qualche modo collimano nel finale. La Città di Mezzo non è reale (come si intuisce da subito) ma è la proiezione mentale di un ragazzo che in realtà vive insieme agli altri 3 nella vera Londra ed è fortemente legato ad uno di loro (non vi dico tutto). Chi sono gli altri 3? Una ragazza con tendenze suicide, un padre che cerca suo figlio e un ragazzo che insegue l'amore d'infanzia. Il film aveva un potenziale enorme oltre alla bellezza estetica. Durante tutto il suo svolgimento ci fa pensare, arrovellare il cervello su chi sia quello, chi quell'altro, come siano legati, cosa c'entri la città Fantasy e le sue vicende con le altre reali che accadono a Londra. 



Alcuni nodi, come quest'ultimo, vengono al pettine, altri no, o comunque non nel modo geniale che il film lasciava supporre. E' questo senso di irrisolto, di leggera faciloneria finale che mi ha lasciato perplesso, con la sensazione, devastante nel cinema, che il regista ne sappia troppo più di me (non come Inland Empire di Lynch...). Forse Franklyn, se sono riuscito a trovarvi una chiave di lettura, è un film sul superamento del dolore. Tutti i personaggi infatti hanno avuto un trauma infantile e cercano di superarlo; la ragazza probabilmente abusata dal padre da piccola vive una vita fatta di tentativi di suicidio; il ragazzo in cerca dell'amore d'infanzia ha perso il padre e da quel giorno vede una bambina immaginaria; il figlio ricercato dal padre ha perso la sua sorellina di 6 anni e si è creato un mondo tutto suo... (mi fermo). Padri, figli, padri, figli, probabilmente il film ha un forte ascendente psicanalitico difficile da cogliere. Rimane un Thriller fantascientifico (e psicologico al contempo) molto lento da seguire e molto difficile da capire, insomma, quelli che piacciono a me. Va visto assolutamente una seconda volta e quella sancirà l'odio finale per non averlo capito appieno, o l'amore assoluto per un film che ha tutto, fuorchè l'esser banale.


( voto 6,5 )

7.7.09

Recensione: "Gran Torino"



Il miglior regista vivente, semplicemente. Malgrado non debba dimostrare altro (è 30 anni che potrebbe campare di rendita), questo mostro cinematografico ci tira fuori un capolavoro all'anno. Non ha bisogno di Kolossal, di effetti, di grandi storie, di angeli o di demoni, tutt'altro, lui narra le piccole storie quotidiane (Mystic River, Million Dollar Baby, Changeling, Gran Torino) che, nelle sue mani, e spesso con la sua faccia, diventano indimenticabili. Che dire di quest'ultimo? Un vecchio, reduce della guerra in Korea, con le mani e la coscienza grondanti sangue, vede il proprio quartiere invaso da orientali (contrappasso). L'odio per i "musi gialli" non l'ha mai abbandonato ma ben presto si accorgerà di avere più cose da spartire con questi mangiariso, che "con quei depravati della mia famiglia". E si prenderà cura di un ragazzo Hmong suo vicino di casa. Fino a ... .

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Film magnifico, senza un dialogo o parola fuori posto, a volte di effetto quasi comico per la serie di insulti che il protagonista fa a chiunque abbia a che fare con lui. Parla della vita, della morte, del senso di colpa e della conseguente possibile catarsi, dell' immigrazione e della convivenza, della violenza e dell'odio, della malattia e della mancanza di affetti. Nessun popolo è peggiore di un altro, nessun ceppo, nessuna comunità. Sono gli uomini, presi uno ad uno, a vivere a loro piacimento nel nome del bene o del male. Se Kowalski (il protagonista) è cambiato, se un uomo che ha portato avanti 60 anni propri (pre)concetti li ha visti prima mettere in crisi, e poi stravolgere in pochi giorni, allora tutti possono cambiare. E la medaglia al valore, lorda del sangue coreano, diviene in una delle immagini finali, la medaglia della riconciliazione, la medaglia della pace. Ed è una medaglia che tutti noi, alla fine del film, vorremmo prendere dal petto di Thao e mettere in quello di Eastwood. Non di Kowalski, di Eastwood. E' la medaglia al valore non di un militare che ha ucciso, ma di un cineasta che continua a farci sognare.


( voto 9 )

3.7.09

Il Soggetto Cinematografico

Il cinema (quasi tutto...) è un' arte. Il film, di conseguenza, è un'opera d'arte. Paradossalmente il cinema è una miscellanea d'arti; scrittura, musica, fotografia, a volte pittura, recitazione, scenografia ( scultura e architettura in piccolo) sono tutte abilità che quasi sempre entrano in un film. Di tutte queste, soltanto una non appare, rimane dietro le quinte, ma alla fine è quella che comprende tutte le altre, LA SCRITTURA. Come tutte le opere d'arte un film parte da un'idea. Questa può essere completamente ORIGINALE oppure una derivazione di qualcosa di già esistente come un LIBRO o un TESTO TEATRALE. Il primo passo nella scrittura di un film, il primo atto pratico, le prime parole vergate su foglio, sono chiamate SOGGETTO. In base a quanto detto sopra quindi potrà essere originale o derivato, distinzione che ci porteremo fino alla sceneggiatura (avete notato infatti come agli Oscar ce ne siano 2 , originale o adattata?) Praticamente nel soggetto si spiega a grandi linee, a volte in poche righe, qual è l'idea del film. Ovvio che già si delineerà il GENERE e di conseguenza il TARGET del film, quale sarà cioè il pubblico ideale che dovrà soddisfare. Se scrivo che vorrei narrare le gesta di un serial killer che uccide le proprie vittime narcotizzandole e tagliandole a pezzi (mostro di Milwaukee) sappiamo già che si tratterà di un thriller. Se in più ad esempio aggiungiamo che il killer agisce sotto il potere del fantasma della sorella sarà un horror (distinzione interessante che affronteremo). Insomma nel soggetto daremo l'idea del film, i probabili fatti principali, il protagonista e forse qualcuno dei coprotagonisti. Questo già basta per capire se è una buona idea. Purtroppo, anche lo fosse, non rappresenta neanche l'1% del lavoro che ci aspetta...

30.6.09

Recensione: "La Zona"

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A volte ci capitano epifanie inaspettate, apparizioni quasi divine che non abbiamo atteso o ricercato ma per caso o per fortuna ci si manifestano davanti. La mia epifania non è stato il film La Zona, ma un cliente della videoteca.
"Cercati La Zona di Rodrigo Plà da mettere in noleggio. E' molto bello"
"Va bene, grazie, ti faccio sapere".
Tre giorni dopo l'ho trovato, l'ho visto, l'ho amato (e l'ho inserito in noleggio of course).

Cos'è La Zona del titolo? E' un quartiere di spocchiosi ricconi di Città del Messico protetto e diviso dal resto della città ( i "poracci") da un muro di cinta con tanto di filo spinato e telecamere. Tre ragazzi sbandati, approfittando di un incidente al muro, riescono ad entrare. Provano a rapinare una ricca anziana. Bollettino finale: 4 morti, l'anziana, 2 dei ragazzi e una guardia giurata. Manca uno dei ragazzi all'appello però. E' sicuramente rimasto nella Zona, non può scappare. La polizia di fuori dalla Zona, quella ufficiale, vuole indagare, i ricconi di dentro, invece, cercarlo per una vendetta privata. Intanto il (presunto) delinquente si è nascosto nella cantina di Alejandro, ricchissimo figlio proprio del comandante della sicurezza della Zona... . 


Grande trama, avvincente, ma questo è solo un aspetto. La bellezza del film, oltre a una sceneggiatura perfetta in cui ogni piccolo elemento - una scarpa, una telecamerina, un numero di telefono in un braccio - da insignificante diventa decisivo, e ad una recitazione più che all'altezza, sta nell'atmosfera, nel messaggio, nel significato.
Chi sono le vittime? Chi sono i colpevoli? E' "giusto" avere il diritto di vivere in una casta scelta?
A mio parere La Zona ci dà l'impressione di essere quasi una miniatura di un regima dittatoriale, dove ogni diverso non viene accettato, dove ci sono regole ferree, ruoli e organizzazione perfetta, e dove ogni errore o crimine di guerra va occultato agli occhi del resto del mondo. I residenti non solo buttano nella spazzatura i corpi dei 2 delinquenti uccisi per evitare le indagini della polizia ufficiale, ma anche quelli dell'anziana e della guardia, due loro "amici" e simili, per poter affermare che non è successo assolutamente NIENTE.
Intanto però cercano il rifugiato per una giustizia sommaria...Solo Alejandro sembra capire che quel ragazzo non ha fatto niente, che è entrato quasi per sbaglio, che è, semplicemente, nè più nè meno che come lui, un ragazzino che, però, a differenza sua, non possiede niente. Proprio per questo scarnificando fino all'osso le due sceneggiature La Zona mi sembra paragonabile al Bambino col pigiama a righe. L'amicizia di due coetanei in un luogo, La Zona o il Lager, dove questa non è permessa. Ragazzi o bambini uguali in tutto e per tutto, divisi contronatura dalle leggi dell' Uomo. Grande opera, grande film, lezione di cinema, lezione di vita.

( voto 8,5 )


29.6.09

La Livella

Chiunque di noi nasce, chiunque di noi cresce, chiunque di noi mangia e beve, chiunque di noi dorme, chiunque di noi, alla fine, leva le tende. Che sia ricco, povero, bello, brutto, intelligente, stupido, gentile o stronzo chiunque di noi ha 2 punti nella propria vita che si uniscono, quello di inizio e quello di fine e in mezzo degli obblighi  - il mangiare, il bere, il dormire - che fanno sì che questa linea sia più lunga e diritta possibile.
Quasi tutto il resto è personale, peculiare, gusto o disgusto, il colore della linea. Non tutti vanno in deltaplano o parlano cinese, non tutti scrivono nei blog o sanno nuotare, non tutti bestemmiano o suonano il sax, ma tutti, TUTTI hanno sentito (o sentirebbero) una canzone nella loro vita e tutti hanno visto (o vedrebbero) un film nella loro vita.
Ecco, soltanto cinema e musica, oltre alle cose vitali, sono le uniche livelle che conosco, gli unici ambiti dove tutti alla fine ci ritroviamo e dove tutti in un modo o nell'altro partiamo alla pari. Questo blog nasce appunto con la consapevolezza che il cinema è il solo argomento, con la musica, dove ognuno di noi può trovare, in un mare di cose, uno scoglio di interesse. E nasce anche per chi, come me, non pensa che il cinema sia lo scoglio, ma il mare stesso.
Ci saranno recensioni, consigli, cazzeggi, notizie. Ci sarà, unico, indispensabile protagonista, il cinema.